Un vecchio castello normanno adibito a postazione militare, una terribile strage, un fratricidio, centinaia di tombe scoperchiate all’interno del maniero costituiscono il quadro d’insieme di una location dove il mistero acquisisce i colori tetri della morte e il fascino del lugubre. Ma andiamo con ordine.
Il castello di Forza d’Agrò venne edificato, sulle rovine di una preesistente fortezza, nel secolo XI dai Normanni, si trova a 420 m. s.l.m.. Si accede tramite una lunga e ripida scalinata in pietra. Nel 1595 venne restaurato ad opera dei giurati e dei deputati del paese. All’interno della cinta muraria sono visibili i resti della chiesa del Crocifisso, i magazzini delle granaglie e gli alloggiamenti dei soldati. Nel 1676, durante la Rivolta anti spagnola di Messina, il castello rimase fedele alla Spagna, per questo venne assediato e conquistato dai francesi; questi lo misero sotto la giurisdizione militare di Savoca che poco prima aveva capitolato un vantaggioso armistizio con gli stessi francesi.
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Caldaia del drago
Sentiero turistico in contrada Uttara lungo il fiume Ghiodaro dove si trovano due grotte e un’incavo molto grande nella pietra sagomato dal perenne scorrere dell’acqua dove le pareti rocciose si alternano a boschi rigogliosi e l’acqua e le rocce formano piccole e limpide piscine naturali. Viene denominata a Quattara U’ Drau poiché secondo un antica leggenda in questo luogo viveva un enorme drago che incuteva timore alla popolazione. La particolarità di questo luogo sta nella colorazione delle rocce circostanti che a causa dei detriti trasportati dal corso dell’acqua assumono una tonalità rossastra. La gente associava questa singolarità al sangue di una belva enorme ossia un drago che viveva in questa vallata.
Piano Margi
Nell’altipiano di Margi, in cima ad una collina, si ritrovano i resti antichi di un accampamento romano. La costruzione rispecchiava la tipica domus romana, con pavimento in pietre e le pareti in coccio misto a calce idraulica. Al centro del rudere sono ancora visibili le colonne di un tempietto. Probabilmente in questo luogo sostarono le truppe romane di Sesto Pompeo in ritirata durante la guerra civile contro Ottaviano, prima di portarsi verso Tindari. Alcuni racconti popolari narrano che proprio in quest’accampamento riposarono una notte i fratelli martiri Alfio, Filadelfo e Cirino in transito verso Lentini. Anche San Filippo d’Agira, proveniente da Limina e diretto a Mongiuffi Melia, Calatabiano e Agira, sostò in questo luogo a evangelizzare. Si racconta che, attratto dalla magia del luogo, Federico II, proveniente da Taormina e diretto all’abbazia di San Pietro e Paolo dell’Agrò, riposò in questo luogo alcune ore seduto su un sedile di pietra ancora esistente.
Notizie tratte da “Polissena e la valle del Chiodaro” di Giovanni Curcuruto che ringraziamo per le preziose informazioni. Ringraziamo anche Fabio Luchino, guida insostituibile e appassionato conoscitore di orchidee selvatiche di cui è ricco l’altipiano di Margi (a tal proposito vi consiglio la sua pagina web Orchidee dei peloritani).
Sito Etnanatura: Piano Margi.
Monte Naturi
Il monte Naturi è la vetta più alta della Valle del Chiodaro e sovrasta il santuario della Madonna della Catena. A Mongiuffi cenni storici fanno risalire il culto della Madonna della Catena agli inizi del XV secolo. Un certo Matteo Lo Po’ devoto alla Vergine fece costruire di fronte ai ruderi dell’acquedotto greco romano una chiesetta dove prima preesisteva un’edicola della suddetta. Le due piccole campane armoniose, ora trafugate, fuse con ricca lega d’argento, come si desumeva dal loro suono, erano del 1587, quando ormai la devozione della Madonna della Catena si era consolidata ed affluivano numerosi pellegrini penitenti. Purtroppo, fra gli anni ’40 e ’60 del secolo scorso, si decise di ricostruire il santuario demolendo completamente la vecchia chiesa. Lasciamo alla pietà cristiana il perdono per l’architetto che edificò il nuovo santuario di gusto per lo meno discutibile (usiamo un eufemismo per non offendere la sensibilità religiosa di qualche lettore ma il nostro giudizio è di natura prettamente estetica).
Sito Etnanatura: Monte Naturi.
Postoleone
Ecco come Pippo Fava in un vecchio articolo sui Siciliani (1980) descriveva la zona: “si sale…la strada…a sinistra il burrone…un canyon…una cascata che non vedi…tanto é profonda…la strada si affonda in tunnel di pietra…portone buio…ponte levatoio…al di là del quale un’immensa vallata con due rovinii di case”. Una curiosità: la galleria venne scavata dai prigionieri austriaci della prima guerra mondiale.
Sito Etnanatura: Postoleone.
Savoca
La nostra visita di Savoca, antico e affascinante paesino ai confini fra le province di Messina e Catania, comincia da un film che ha fatto la storia della cinematografia “Il padrino” di Francis Ford Coppola considerato dalla rivista Empire il più bello di tutti i tempi. Nella finzione cinematografica Michael Corleone chiede la mano di Apollonia nel bar Vitelli, per poi sposarla nella chiesa di Santa Lucia.
Salendo sulla collina sopra il bar si raggiunge la cripta dei Cappuccini. Realizzata agli inizi del Seicento nei sotterranei della chiesa omonima, racchiude 37 cadaveri mummificati appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati, medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, tutti appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese. Sembra che i frati cappuccini abbiano appreso le tecniche di imbalsamazione
in Sud America, le quali, attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più antica risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore, la più recente è del 1876 ed appartiene a Giuseppe Trischitta. Il procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell’essiccazione naturale; consisteva, prima nell’immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, dopo aver proceduto allo scolo dei visceri, nel distenderla nella cripta della Chiesa Madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d’aria, avveniva la naturale essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva effettuato direttamente dai frati Cappuccini ed era abbastanza costoso. La cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX secolo, l’interesse di molti illustri scrittori, come Ercole Patti, Leonardo Sciascia e Mario Praz. I corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d’epoca e danno mostra di sé nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.
Ritornando verso il bar Vitelli e risalendo per la collina opposta a quella dei cappuccini, si ritrova l’antica porta del quartiere San Michele. Si presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d’accesso alla porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva. Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel Medioevo, venivano aperte all’alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è stato restaurato nel 2009.
Superata la porta si ritrovano i resti dell’antico carcere. L’antico carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in un’ala dell’antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su cui troneggiava lo stemma dell’Archimandrita, rimosso e custodito al museo locale. È ancora visibile all’interno una cisterna che serviva per l’approvvigionamento idrico di buona parte dell’abitato. Dal 1855, quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in disuso. Crollò parzialmente nel 1908 e non fu più ricostruito.
La chiesa di San Michele, costruita attorno al 1250, per volere degli Archimandriti, era la chiesa del Castello di Pentefur, ampliata nei primi decenni del XV secolo, venne ristrutturata ed affrescata agli inizi Seicento, seguendo lo stile Barocco. Inizialmente l’edificio era di esigue dimensioni e, secondo un antico manoscritto datato 1308, vi celebravano la Divina Liturgia numerosi sacerdoti di rito greco. Verso il 1420 la chiesa venne ampliata e si procedette ad impreziosirla con i due attuali portali in stile gotico-siculo. Durante tutto il Medioevo ed oltre, il non credente che si convertiva al Cristianesimo, secondo una documentata tradizione, doveva salire ginocchioni, in atto di penitenza, i suoi sette gradini, per poi ricevere il sacramento del battesimo.
Sulla cima della collina domina il castello di Pentefur (vedi). È ridotto ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti delle mura merlate, nei resti della torre trapezoidale, che fu a due elevazioni su un’area di 350 m², ed in alcune cisterne. Il Castello sorge sull’omonimo colle, edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. Risale, con molta probabilità, all’epoca tardo-romana o bizantina, secondo la tradizione venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur. Venne riedificato dagli arabi e ampliato dai Normanni che ne fecero la residenza estiva dell’Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. L’Archimandrita messinese trascorreva, assieme alla sua corte, buona parte dell’anno all’interno del Castello Pentefur. Dal 1355 è proclamato Castello Regio ed è al centro di un susseguirsi di turbolenti eventi che si protrarrà per circa trent’anni, viene infatti tolto all’Archimandrita dal Re Federico IV di Sicilia che lo attribuisce a Guglielmo Rosso Conte d’Aidone. È lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre ai Giurati ed ai Sindaci savocesi ed all’Archimandrita di Savoca Teodoro di giurare fedeltà al nuovo Capitano del Castello. Nel 1356 vi si rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d’Aidone, fratello di Guglielmo, scampato miracolosamente all’eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano, fino al 1385, quando è nominato Castellano di Savoca Tommaso Crisafi da Messina. Nel 1386 il Castello ritorna definitivamente in possesso degli Archimandriti con Paolo IV di Notarleone. Tra il 1421 ed il 1450, risulta essere residenza stabile dell’Archimandrita Luca IV de Bufalis, il quale preferisce risiedere stabilmente a Savoca anziché a Messina. Nel 1480, venne restaurato ed ingrandito dall’Archimandrita Leonzio II Crisafi e, nel 1631, venne sontuosamente abbellito a spese dell’Archimandrita Diego de Requiensez.
Dal castello partivano gli ordini e le direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a Savoca, poi, pian piano perse d’importanza. Alla fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del Terremoto del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte Archimandritale che preferiva risiedere a Messina o a Roma. Dal 1780, circa, venne abbandonato ed andò in rovina per sempre.
Accanto alla chiesa di San Michele, ma questa volta alla base della collina ritroviamo i resti dell’antica Sinagoga medioevale. Il vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da sterpaglie e terriccio alluvionale, all’interno esiste una profonda cisterna. Sono visibili due archi in pietra sul prospetto principale, mentre su quello laterale, si scorge una pregevole finestra in pietra arenaria, ancora in discrete condizioni; caratteristici sono i conci di pietra angolare che collegano detto prospetto con la parete ovest. Non si conosce l’anno di costruzione di questo edificio, si sa solo, grazie ad antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione “nel centro e nel migliore luogo” dell’antico abitato, che esisteva già nel 1408. Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei borghi e villaggi vicini. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all’edificio dove si curavano l’amministrazione e la giustizia cittadine, nell’agosto 1470, venne confiscato su ordine del Viceré di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi. Lo stesso viceré dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. La ragione di tale severo provvedimento è da ricercare nel fatto che i giudei savocesi, nell’officiare i loro riti, cantavano inni a voce talmente alta da disturbare le attività dei cristiani che da lì a pochi passi si svolgevano. Di conseguenza, la sinagoga venne rivenduta ad un privato cittadino del luogo, tal Filippo Sturiali, che la trasformò in civile abitazione. Non è dato sapersi ove gli ebrei savocesi stabilirono il loro nuovo luogo di culto. Pochi anni dopo, nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia. La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è diventata un rudere a cielo aperto lasciato in uno stato di incuria. Il vetusto manufatto è stato, nel corso degli anni, oggetto di studi da parte di numerosi esperti; nel 1997, si accertò l’orientamento dell’edificio in direzione est-ovest (cioè verso Gerusalemme) e la presenza di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che serviva per le abluzioni rituali. Nel 2014, tra le rovine della sinagoga, è stata scoperta una lapide con sopra scolpita la stella di David. Risulta interessante ricordare che a Savoca esisteva anche un cimitero ebraico, sito in località Moselle, nei pressi della frazione di Rina.
Risalendo ritroviamo la chiesa di San Nicolò (già nominata a proposito del film il Padrino). Edificata nel XIII secolo, fino a tutto il XVII secolo era riccamente adornata con affreschi in stile bizantino. L’edificio odierno presenta un’architettura settecentesca frutto di un rimaneggiamento successivo. Conserva una statua lignea di Santa Lucia eseguita dallo scultore Reginaldo D’Agostino.
L’ultima (ma non per importanza e bellezza) chiesa che visitiamo è la chiesa Maria Assunta. E’ la Chiesa Matrice di Savoca ed è un monumento nazionale italiano dal 1910. Edificata nel 1130, presenta una facciata a doppio spiovente con un portale centrale, di impostazione rinascimentale, spinto verso l’alto da paraste laterali che guidano lo sguardo verso il rosone in pietra lavica a cinque bracci. Nella cripta della chiesa nei secoli passati si procedeva alla mummificazione delle salme dei notabili del paese. Fu sede periferica dell’archimandrita di Messina di cui all’interno si conserva la cattedra lignea.
Accanto alla matrice ritroviamo un’antica costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento con una bella finestra bifora che viene citata in molti antichi testi per il suo “stile greco”. L’edificio venne restaurato verso la fine del Seicento. Ha uno stile gotico-spagnolo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un ulteriore sapore ispanico-fiammingo. Il portale d’ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi. Appartenne nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei Trischitta. Tra il 1909 ed il 1927, ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano. L’edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.
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Info tratte da Wikipedia.
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