Catania sconosciuta

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25-01-2009-05-17-55Con l’arrivo dell’inverno potrebbe essere interessante scoprire con poco sforzo le bellezze nascoste di Catania. Tutti conoscono la via Etnea e molti apprezzano per la sua bellezza via Crociferi ma quanti sono in grado di individuare il percorso sotterraneo del fiume Amenano, ritrovare le vestigia romane della città o i resti delle mura che l’hanno difesa dalle invasioni? Sono i piccoli tesori nascosti, spesso sconosciuti se non trascurati, che restituiscono la bellezza e il fascino misterioso di una città unica. Ed è per questo che vi proponiamo tre itinerari nella storia della città:

  1. Catania romana
  2. Il fantasma del fiume Amenano
  3. Catania fortificata

 

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Grotta santa Maria della Neve

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12-12-2014 11-21-07Sulla strada provinciale che scende verso il mare, a breve distanza dalla Villa Belvedere, si erge una minuscola chiesetta dal nome suggestivo che rievoca tempi e fatti avvolti nella leggenda anche se storicamente collocati a metà del ’700. L’antichissima grotta lavica, parte integrante dell’attuale chiesetta, che curiose leggende dipingevano come ricettacolo di ladri e assassini o addirittura dimora di demoni ed orride bestie, fu in verità adibita da qualche pastore della zona a ricovero per le capre, o scelta come rifugio provvisorio da qualche “discursore di campagna” nell’attesa di assalire malcapitati viandanti che solitari si avventuravano per quel sentiero. Nel 1752 un pio sacerdote, don Mariano Valerio, per adempiere ad un voto pensò di tramutarla in chiesa con l’intento di esporvi un presepe e ricordare così la nascita di Gesù. Per l’occasione, scrisse pure una collana di sonetti in dialetto siciliano da recitarsi davanti al presepe della Grotta ogni mese. Morto il Valerio, divenne Rettore della chiesa il can. Pasquale Pennini che nel 1820 ampliò la grotta costruendo un pronao con tre colonne e abbellì il prospetto in pietra bianca su cui spiccano i componenti della Sacra Famiglia, ben visibile dal mare di S. Maria La Scala. Qualche anno prima che la chiesetta subisse questi restauri, fu dato l’incarico di rinnovare il presepe ad un bravo artigiano acese, Mariano Cormaci, il quale si era messo in luce avendone costruito uno bellissimo nella chiesa madre di S. Venerina. Il Cormaci,attivo tra la fine del ‘700 e la prima metà dell’800, verso il 1812 plasmò nella cera, insieme allo Zammit, conosciuto come “ u nuticianu” perché proveniente da Noto, e al romano Santi Gagliani, le teste dei pastori; le mani, invece, furono intagliate nel legno ed inseriti in manichini rivestiti con varie stoffe, a seconda del ruolo dei personaggi che risultarono quasi a grandezza naturale. Le stoffe dei vestiti, ad eccezione delle sete e dei damaschi con ricami in oro dei Re Magi, rovinate purtroppo dal tempo, sono state rinnovate, mentre le barbe ed i capelli dei pastori sono ancora gli stessi donati dai fedeli come ex voto. Gli animali presenti sulla scena, pecore e conigli, sono stati modellati in gesso. Per questi lavori eseguiti con tecniche raffinate e con risultati artistici veramente sorprendenti, il Cormaci ricevette un compenso annuo di onze due e tarì 15, poca cosa per un lavoro così ben fatto. Si disse – ma è solo una diceria – che per modellare quelle teste l’artista avesse usato una tecnica segreta, poiché i successivi restauri non riuscirono ad imitare la tecnica conosciuta solo da sua nipote: in seguito alcuni volti furono rinnovati in gesso o in cartapesta con risultati meno apprezzabili, tanto che nei restauri del 1984 sono stati accantonati. Le figure sono di un realismo impressionante e formano un’interessante tipologia popolare e un ricco campionario di costumi dell’epoca. Lo spettatore, colpito dalla dolcezza dell’evento narrato a cui partecipa la natura tutta, è attratto da “Jnnaru”, coperto di stracci, contento di stare a scaldarsi davanti al braciere. Tra i personaggi tipici ricordiamo anche il Suonatore di cornamusa, lo Spaventato della grotta, i numerosi contadini – belli, dolci, estatici – che recano in dono ceste di arance, fiscelle di ricotta ed altre umili cose che poveri pastori “alla campìa” potevano offrire a Gesù appena nato. Tutti fanno da corona alla Sacra Famiglia: a fianco a Maria che osserva estasiata la sua Creatura con un sguardo materno pieno di dolcezza c’è S. Giuseppe, pensoso, appoggiato al suo bastone; e tutti sembrano cantare, per celebrare la sacralità della vita, il terzo “mistero gaudioso” nel colorito dialetto:
Parturistuvu Gran Signura
‘nta ‘na povera mangiatura:
e nasciu Gesù Bammineddu,
‘mmenzu ‘nvoi e ‘n’asineddu.

Sul finire dell’800, la chiesetta che intanto aveva preso pure il nome di S. Maria della Neve, restò chiusa per qualche anno, ma a partire dal 1900, grazie all’interesse della nobildonna M. Serafina Pennisi, erede dei Valerio, fu riaperta al pubblico per le festività natalizie con la celebrazione di una messa presieduta dal vescovo mons. Genuardi. Nel 1984 la Sovrintendenza per i beni culturali di Catania ha restaurato ogni componente del Presepe facendo sì che fosse cancellata l’usura del tempo e la violenza di discutibili restauri precedenti. All’ingresso, sulla stretta parete del pronao fa bella mostra di sé la splendida pala d’altare di Vito D’Anna raffigurante la “Natività”, forse dipinta nel 1740, dal pittore palermitano poco più che ventenne negli anni in cui frequentava la bottega del nostro Paolo Vasta, i cui influssi sono evidenti. Delicato il volto della Madonna, ricche le vesti della giovane donna che invita il figlioletto a rendere omaggio al Bambino Gesù mentre sullo sfondo, nella penombra, S. Giuseppe manifesta la sua ieratica, discreta presenza a così grande mistero.
(Testo tratto dall’opuscolo “Angeli e Campane”)

Pagina Etnanatura: Grotta santa Maria della Neve.

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Carcaci

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19-02-2014 19-54-36La prima testimonianza della presenza umana nel luogo risale all’XI secolo, quando i normanni, venuti in Sicilia, nel 1061 qui si accamparono per organizzare la presa di Centuripe. A quell’epoca risale la prima costruzione di cui si ha testimonianza: una torre quadrangolare successivamente inglobata in altri edifici. Il primo feudatario di Carcaci fu Giovanni de Raynero nel 1200 circa. Nel 1453 Giovanni Spatafora ebbe l’investitura dal re Alfonso della baronia di Carcaci. Sul finire del XVI secolo vennero realizzati dei lavori idraulici per opera del barone Ruggero Romeo. Successivi feudatari di Carcaci furono Nicola Mancuso nel 1602 e Gonsalvo Romeo Gioieni nel 1630. Questi ottenne nel 1631 la licentia populandi e fondò il borgo. Dopodiché, Carcaci passò alla Casa Paternò Castello che da allora sono i Duchi di Carcaci. Il borgo venne realizzato con pianta regolare e con gusto barocco spagnoleggiante: venne realizzato un monumentale ingresso, una chiesa, dedicata a santa Domenica, ormai in stato di abbandono, un castello. 
Da Wikiedia 
Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Carcaci.

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Santa Caterina Alessandrina

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18-07-2014 20-47-28Oltre ad essere il monumento più importante di Pedara, per il suo particolare contenuto artistico è una delle chiese più visitate e studiate della provincia. L’intero complesso architettonico è considerato uno splendido esempio di “chiesa nera” dell’Etna dove il sapiente e coraggioso utilizzo della pietra lavica e degli intonaci trova qui una delle sue massime espressioni.La prima costruzione fu completata nel 1547 ed era in stile romanico. Oltre un secolo dopo, la struttura si dimostrò insufficiente a contenere i fedeli tanto che nel 1682 la fabbrica fu demolita per una più spaziosa ed attrezzata, ma l’11 gennaio 1693 il terremoto piegò anche Pedara e della chiesa appena ricostruita rimase ben poco. La grandiosa opera di ricostruzione richiese oltre 10 anni di lavoro e fu compiuta dal sacerdote pedarese don Diego Pappalardo solo nel 1705. All’interno si possono ammirare gli affreschi di Giovanni Lo Coco, una tela di Mattia Preti che raffigura Il Martirio di S. Caterina, il monumento funebre allo stesso don Diego, numerose tele, i marmi policromi dell’altare maggiore, alcune sculture del Settecento, i preziosi ricami e gli arredi sacri. Il portale interno del 1547 è il monumento più antico di Pedara. Costruito in pietra lavica e bianca, l’arco è in stile romanico e sostiene una porta di tavole di castagno dalla quale emergono 122 grossi chiodi che, secondo la tradizione, rappresentano il numero delle famiglie che contribuirono alla sua realizzazione. All’esterno, invece, spiccano la torre campanaria con elementi di epoche diverse e cuspide in maioliche policrome, le sculture in pietra dei portali e delle finestre ed un ormai raro esemplare di meridiana.
Da Wikipedia
Foto di Concetto Mazzaglia

Pagina Etnanatura: Santa Caterina Alessandrina.

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Palazzo Biscari

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28-03-2014 16-50-02Venne realizzato per volere della famiglia Paternò Castello principi di Biscari a partire dalla fine del Seicento e per gran parte del secolo successivo, in seguito al catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693. Il nuovo palazzo venne edificato sulle mura di Catania, costruite per volere dell’imperatore Carlo V nel Cinquecento e che avevano in parte resistito alla furia del terremoto: i Biscari furono una delle poche famiglie aristocratiche della città che ottenne il permesso regio di costruire su di esse.  La parte più antica del palazzo fu costruita per volere di Ignazio, terzo principe di Biscari, che affidò il progetto all’architetto Alonzo Di Benedetto, ma fu il figlio di Ignazio, Vincenzo, succeduto al padre nel 1699, a commissionare la decorazione dei sette splendidi finestroni affacciati sulla marina, opera dello scultore messinese Antonino Amato. Successivamente il palazzo fu modificato per volere di Ignazio Paternò Castello, quinto principe di Biscari, il quale lo fece ampliare verso est su progetto di Girolamo Palazzotto e, successivamente, di Francesco Battaglia. L’edificio venne infine ultimato nel 1763 ed inaugurato con grandiosi festeggiamenti. Al palazzo si accede attraverso un grande portale su via Museo Biscari, che immette nel cortile centrale, adorno di una grande scala a tenaglia. All’interno, si trova il “salone delle feste”, di stile rococò dalla complessa decorazione fatta di specchi stucchi e affreschi dipinti da Matteo Desiderato e Sebastiano Lo Monaco. Il cupolino centrale era usato come alloggiamento dell’orchestra, ed è coperto da un affresco raffigurante la gloria della famiglia Paternò Castello di Biscari. Si accede alla cupola attraverso una scala decorata a stucco (che il principe Ignazio chiamò “a fiocco di nuvola”) all’interno della grande galleria affacciata sulla marina. Tra le altre sale vanno ricordate quella “dei Feudi”, con alle pareti grandi tele rappresentanti i numerosi feudi dei Biscari; gli “appartamenti della principessa”, costruiti da Ignazio V per la moglie, Anna Morso e Bonanno dei principi del PoggioReale, con boiseries di legni intarsiati e pavimenti di marmo di epoca romana; la “galleria degli Uccelli” e la “stanza di don Chisciotte”. Infine particolare importanza riveste il Museo, dove un tempo era raccolta la grande collezione archeologica (oggi in parte al Museo civico del castello Ursino) di Ignazio V, grande studioso, archeologo e amante delle arti in genere. Tra i celebri visitatori del palazzo si ricorda soprattutto lo scrittore Johann Wolfgang Goethe che, nel corso del suo viaggio in Italia, venne ricevuto dal principe di Biscari il 3 maggio 1787, poco dopo la morte del padre Ignazio. Agli inizi del 2008 il palazzo ha fatto da sfondo al videoclip della canzone Violet Hill della band inglese Coldplay.

Da Wikipedia

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Palazzo Biscari.

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Porta Garibaldi

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26-03-2014 07-57-51La porta Giuseppe Garibaldi (inizialmente chiamata porta Ferdinandea) è un arco trionfale costruito nel 1768, su progetto di Stefano Ittar e Francesco Battaglia, per commemorare le nozze di Ferdinando I delle Due Sicilie e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. Si trova tra piazza Palestro e piazza Crocifisso, alla fine di via Giuseppe Garibaldi, nel quartiere Fortino, in dialetto catanese Futtinu. La zona è chiamata ‘u Futtinu in ricordo di un fortino costruito dal viceré Claudio Lamoraldo principe di Ligne, dopo l’eruzione lavica del 1669 che colpì la città su tutto il lato occidentale annullandone le difese medievali. Dell’opera di fortificazione avanzata che sorgeva a sud di piazza Palestro, ormai scomparsa, rimane solo una porta in via Sacchero (vedi). Di tutto ciò oggi rimane ben poco. Alcuni palazzi collegati alla porta furono demoliti negli anni trenta, altri oggi sono abbastanza poveri e tutt’altro che simmetrici. La riqualificazione della piazza ha dato sicuramente un altro aspetto alla porta, ma è comunque tutt’altro rispetto ai progetti originari. Da Wikipedia.

Pagina Etnanatura: Porta Garibaldi.

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