Cuba di santa Domenica

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20120725 189Il tempio sito nella Valle dell’Alcantara, denominato a “Cuba”, ma dedicato a Santa Domenica, come diceva il Lojacono forse per tradurre in forma latina la sua antichissima dedica a Santa Ciriaca, appartiene alla cosiddetta Nuova Età che va dal VII° Sec. fino al IX° Sec., segnando così la fine dell’Antichità. Il lato Sud di questo vetusto complesso doveva essere strutturalmente e funzionalmente associato ad un altro edificio monastico, sorto successivamente; la porta murata durante i restauri sul finire degli anni 50, da parte di P.Lojacono, è un chiaro esempio di comunicazione chiesa – monastero. La cupola a vela del naos era fortemente spaccata in più punti, e alcuni speroni mancanti o disgregati non potevano assicurare più l’equilibrio dell’insieme. Si aggiunga che fondazioni allo scoperto, squarci interni e l’asportazione di grossi blocchi di base di alcuni pilastri portanti avrebbero costituito l’inizio ad un eventuale pregiudizio alla stabilità. La Chiesa di Santa Domenica sorse probabilmente tra il 775 ed i primi anni dell’800, dopo la morte dell’imperatore Costantino V figlio dell’imperatore Leone III° detto l’Isaurico; si distinsero entrambi nella lotta iconoclasta che decretarono ed operarono sempre nel nome di Dio, facendo credere che le immagini fossero idoli e i veneratori idolatri; dunque, sia gli uni che gli altri, venivano distrutti. Furono dunque i monaci i veri costruttori ed architetti delle cinque Cube nella Valle dell’Alcantara? Inoltre la Chiesa di Santa Domenica per essere la più grande della Valle dell’Alcantara, lascia supporre che il Sito di Contrada”Cuba” doveva essere densamente abitato, e che le altre quattro “Cube” dovevano roteare intorno; analizzando invece i diversi reperti archeologici trovati in Contrada Imbischi in Contrada Cuba e dintorni, notiamo che il passato di questi territori è legato alla stessa civiltà. Anche se il materiale impiegato per la costruzione di Santa Domenica è molto diverso nelle qualità da quello delle Chiese dell’Anatolia, la Chiesa di Santa Domenica sembra derivi dalle tradizionali costruzioni a Basiliche che poggiano su enormi spazi con grandi cupole al centro, e nel contesto di queste forme, si ricorda la Chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli o Chiesa Grande. La Chiesa di Santa Domenica è stata dichiarata Monumento Nazionale il 31 Agosto del 1909.

da http://web.tiscalinet.it/Castiglione_di_Sic/cuba.htm

Pagina Etnanatura: Cuba di Castiglione.

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Castello di Nelson

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15-09-2014 07-47-59L’abbazia di Santa Maria di Maniace (chiamata anche Ducea di Nelson, Castello di Nelson e Ducea di Maniace) è un edificio che si trova al confine fra i comuni di Bronte e Maniace, in provincia di Catania. Fu fondata dalla regina Margherita di Navarra nel XII secolo. Verrà donata insieme al feudo nel 1799 da Ferdinando di Borbone all’ammiraglio inglese Horatio Nelson. Oggi il complesso è stato musealizzato. La storia della fondazione del cenobio Santa Maria di Maniace è avvolta da un alone di mistero. Molto probabilmente sul luogo esisteva un piccolo borgo fortificato in epoca romana e poi bizantina. Il nome deriva dal generale Giorgio Maniace che, inviato in Sicilia dall’imperatore Michele IV nel 1038. Nel 1040, con al seguito un esercito composto da bizantini, lombardi e normanni, Maniace avrebbe affrontato in questo luogo truppe musulmane. Lo scontro dovette essere tremendo, tanto che il fiume vicino – da allora chiamato appunto Saracena – si colorò di rosso a causa del sangue versato. A vittoria ottenuta, per ringraziare la Madonna, il generale fece costruire un piccolo cenobio e vi donò una icona che – narra una leggenda – sarebbe stata dipinta da San Luca. La prima citazione storica fu quella di Edrisi che ne parlava nel 1150, citandola come Manyag o Giran ad-Daqiq (o Ghiran ed-Dequq, cioè “Grotta della Farina”). Secondo altre fonti, Maniace avrebbe fondato direttamente un borgo, a presidio della trazzera regia. Il cenobio in seguito fu abbandonato – forse a causa del terremoto del 1169 – e decadde. Nel 1173 la regina Margherita, madre di Guglielmo II detto il Buono, vi fondò un’abbazia benedettina dedicata a Santa Maria e assegnò a questa un feudo di notevole estensione. Il francese Guglielmo di Blois fu il primo abate. Della struttura originaria non si ha notizia, probabilmente comprendeva solo la chiesa e qualche vano annesso. L’importanza dell’abbazia crebbe negli anni, sostenuta anche dalle notevoli ricchezze derivanti dalle rendite agricole. La stessa regina Margherita vi si sarebbe rinchiusa, negli ultimi anni della sua vita, apportando una notevole dote e accrescendo ulteriormente le strutture, che secondo alcuni studi sarebbero state maestose. Nel 1373 si parla di fortilicium del monastero, e nel 1422 turris. Quindi è probabile che la definizione di castello venne adottata dopo questa data. Successivamente venne gestita, probabilmente in maniera poco accorta, da una serie di abati commendatari fra cui il cardinale Rodrigo Borgia, futuro pontefice Alessandro VI dal 1471 al 1491. L’abbazia, insieme al cenobio di San Filippo di Fragalà (in comune di Frazzanò, nella provincia di Messina) venne dato da papa Innocenzo VIII nel 1491 all'”Ospedale dei Poveri” di Palermo. Nel 1585 ai Benedettini, subentrarono i Basiliani ai quali successero, i Frati Eremiti di Sant’Agostino e successivamente i Francescani. Nel 1693 il terremoto del Val di Noto arrecò gravi danni alle strutture e la successiva ricostruzione alterò in parte il fabbricato originario. Il 3 settembre del 1799 il Re Ferdinando IV di Borbone donò il complesso di Santa Maria di Maniace e concesse il titolo di Duca di Bronte, all’ammiraglio inglese Horatio Nelson a titolo di ricompensa per l’intervento della marina inglese durante la Rivoluzione Napoletana, nel corso della quale l’intervento inglese era stato decisivo per la restaurazione Borbonica: proprio sulla nave di Nelson era stato recluso e successivamente giustiziato, uno degli strateghi militari della breve esperienza della Repubblica partenopea, Francesco Caracciolo. Da allora in poi il complesso costituito da un’ampia tenuta e un appartamento nobile confinante con la splendida chiesa, prenderà il nome di Ducea Nelson. Anche se è poco probabile che Horatio Nelson abbia mai visitato la “sua” ducea, da questo momento in poi tutti gli atti ufficiali firmati dall’ammiraglio inglese riporteranno la postilla “duca di Bronte”. La circostanza ebbe ampia diffusione tra i suoi estimatori anche in patria: un pastore protestante, Patrick Prunty o Brunty, estimatore dell’ammiraglio, cambiò addirittura il proprio cognome in “Brontë”: da lui nacquero le famose scrittrici Charlotte ed Emily.Gli eredi di Nelson, i Nelson Hood, visconti di Bridport, gestiranno la proprietà direttamente e più spesso attraverso diversi amministratori fiduciari sino al XX secolo. La Ducea, pur disponendo di estesi latifondi dove lavoravano una notevole massa di braccianti fu interessata solo marginalmente dai moti siciliani del 1848, dal Governo Rivoluzionario di Ruggero Settimo del 1849, dai Fasci Siciliani e dai Fatti di Bronte del 1860. In particolare, durante la rivolta dell’agosto del 1860 nella vicina Bronte (dove gli eredi Nelson-Bridport possedevano un palazzo di rappresentanza), secondo una ricostruzione assai verosimile (proposta dal film del 1972 di Florestano Vancini Bronte: cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato) la presenza della Ducea inglese ebbe un ruolo determinante: Garibaldi inviò a Bronte il suo Nino Bixio per reprimere in maniera esemplare e sommaria la rivolta della popolazione insorta credendo negli ideali garibaldini e in attesa della redistribuzione delle terre, fino a quel momento in mano ai pochi notabili latifondisti filoborbonici, ma anche agli eredi dell’ammiraglio (a tal proposito si veda la novella La libertà di Giovanni Verga). L’eroe dei due mondi, attraverso Bixio, si rese responsabile della fucilazione di coloro che avevano creduto nei suoi proclami. Una beffa per il popolo, ma un servigio ai notabili locali e soprattutto agl’inglesi che militarmente, e ancor più politicamente, avevano permesso il suo sbarco a Marsala. Alla fine del XIX secolo la casa ducale verrà abitata dal poeta scozzese William Sharp, che qui spirerà e sarà sepolto il 14 dicembre 1905. Sotto il fascismo la ducea fu espropriata agl’inglesi e, proprio di fronte all’ingresso principale, fu costruito un gruppo di case assegnate ai braccianti, fu chiamato “borgo Caracciolo”, a ricordo del rivoluzionario napoletano i cui propositi erano stati vanificati proprio da Nelson. Durante la seconda guerra mondiale la Ducea fu sede di comando militare tedesco. Con lo sbarco anglo-americano e la fine del conflitto, tornerà agli eredi Nelson-Bridport: l’imponenente latifondo sarà largamente ridotto per i timori della più volte annunciata (ma blandamente realizzata) riforma agraria degli anni cinquanta. Attraverso acquisti forzati, che gli inglesi, anche con tassi di usura, imposero ai loro braccianti, il territorio di proprietà ducale si ridusse drasticamente (si veda in proposito questo brano de Le parole sono pietre, di Carlo Levi). Venne abbattuto inoltre borgo Caracciolo, ma i ruderi furono lasciati sul luogo quasi a sancire, simbolicamente, che le imprese dei rivoluzionari si concludono in maniera fallimentare. Venne realizzata una piscina proprio a ridosso del giardino, un’area del parco con alberi secolari fu rasa al suolo per realizzare un campo da tennis con fondo bitumato. Sempre alla ricerca di denaro per sostenere un tenore di vita elevato, gli eredi dell’ammiraglio, che vivevano tra l’Inghilterra, Roma e talvolta la Ducea, continuarono con progressive alienazioni, fino ad arrivare alla svendita di questo pezzo d’Inghilterra in Sicilia. Nel 1981, pur già svuotato in parte dalle ricchezze e ormai fatiscente, il complesso fu acquisito dal Comune di Bronte attraverso un finanziamento della Regione Siciliana. Durante la gestione da parte del Comune di Bronte, il Castello ha subito diversi furti, il più grave dei quali avvenne nel 1984, quando furono trafugate una ventina di preziose opere (fra dipinti e mobili) e che ancora non sono state recuperate. Nel corso degli anni 90, il Castello Nelson è stato ristrutturato a fini museali e per la creazione di un centro conferenze. Del grandioso tempio dedicato alla Madonna dalla regina Margherita rimangono le navate, uno splendido portico gotico-normanno e l’icona bizantina – secondo la leggenda dipinta da San Luca. Dietro la chiesa, in quelli che furono i magazzini, alcuni scavi hanno riportato alla luce l’abside dell’antica costruzione normanna. Inoltre si possono osservare due torrette medievali ed un grande parco all’inglese. Dell’antico castello rimane poco, oltre le torrette citate ed una parte della cinta muraria, in quanto gli ambienti furono riadattati dagli eredi di Nelson a scopi abitativi o a magazzini al servizio dell’agricoltura, ma sono visitabili ed espongono alcuni cimeli d’epoca appartenuti all’ammiraglio. Nel cortile interno vi è una croce celtica dedicata all’ammiraglio Nelson. Nel parco si trova invece un piccolo cimitero, dove spicca una croce celtica in pietra nera dell’Etna, che indica la sepoltura del poeta scozzese William Sharp.
Da Wikipedia
Foto di Francesco Marchese

Sito Etnanatura: Castello di Nelson.

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Carcaci

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19-02-2014 19-54-36La prima testimonianza della presenza umana nel luogo risale all’XI secolo, quando i normanni, venuti in Sicilia, nel 1061 qui si accamparono per organizzare la presa di Centuripe. A quell’epoca risale la prima costruzione di cui si ha testimonianza: una torre quadrangolare successivamente inglobata in altri edifici. Il primo feudatario di Carcaci fu Giovanni de Raynero nel 1200 circa. Nel 1453 Giovanni Spatafora ebbe l’investitura dal re Alfonso della baronia di Carcaci. Sul finire del XVI secolo vennero realizzati dei lavori idraulici per opera del barone Ruggero Romeo. Successivi feudatari di Carcaci furono Nicola Mancuso nel 1602 e Gonsalvo Romeo Gioieni nel 1630. Questi ottenne nel 1631 la licentia populandi e fondò il borgo. Dopodiché, Carcaci passò alla Casa Paternò Castello che da allora sono i Duchi di Carcaci. Il borgo venne realizzato con pianta regolare e con gusto barocco spagnoleggiante: venne realizzato un monumentale ingresso, una chiesa, dedicata a santa Domenica, ormai in stato di abbandono, un castello. 
Da Wikiedia 
Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Carcaci.

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Monte Castellaccio

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Sito Etnanatura: Monte Castellaccio,

Ci piace presentarvi monte Castelaccio come un luogo da fiaba dove anticamente (non sappiamo quando e se) esistevano ricche miniere di oro alle quali attingevano i greci prima e poi i romani, i saraceni e tutti quelli che hanno fatto della Sicilia terra di conquista (e dico ciò con un’accezione non sempre negativa considerando che peggio dei siciliani nessuno ha mai amministrato le nostre terre).

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Savoca

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Bar Vitelli

Bar Vitelli

La nostra visita di Savoca, antico e affascinante paesino ai confini fra le province di Messina e Catania, comincia da un film che ha fatto la storia della cinematografia “Il padrino” di Francis Ford Coppola considerato dalla rivista Empire il più bello di tutti i tempi. Nella finzione cinematografica Michael Corleone chiede la mano di Apollonia nel bar Vitelli, per poi sposarla nella chiesa di Santa Lucia.

Salendo sulla collina sopra il bar si raggiunge la cripta dei Cappuccini. Realizzata agli inizi del Seicento nei sotterranei della chiesa omonima, racchiude 37 cadaveri mummificati appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati, medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, tutti appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese. Sembra che i frati cappuccini abbiano appreso  le tecniche di imbalsamazione

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

in Sud America, le quali, attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più antica risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore, la più recente è del 1876 ed appartiene a Giuseppe Trischitta. Il procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell’essiccazione naturale; consisteva, prima nell’immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, dopo aver proceduto allo scolo dei visceri, nel distenderla nella cripta della Chiesa Madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d’aria, avveniva la naturale essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva effettuato direttamente dai frati Cappuccini ed era abbastanza costoso. La cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX secolo, l’interesse di molti illustri scrittori, come Ercole Patti, Leonardo Sciascia e Mario Praz. I corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d’epoca e danno mostra di sé nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.

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Porta del quartiere san Michele

Ritornando verso il bar Vitelli e risalendo per la collina opposta a quella dei cappuccini, si ritrova l’antica porta del quartiere San Michele.  Si presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d’accesso alla porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva. Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel Medioevo, venivano aperte all’alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è stato restaurato nel 2009.

Antico carcere

Antico carcere

Superata la porta si ritrovano i resti dell’antico carcere. L’antico carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in un’ala dell’antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su cui troneggiava lo stemma dell’Archimandrita, rimosso e custodito al museo locale. È ancora visibile all’interno una cisterna che serviva per l’approvvigionamento idrico di buona parte dell’abitato. Dal 1855, quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in disuso. Crollò parzialmente nel 1908 e non fu più ricostruito.

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San Michele

La chiesa di San Michele, costruita attorno al 1250, per volere degli Archimandriti, era la chiesa del Castello di Pentefur, ampliata nei primi decenni del XV secolo, venne ristrutturata ed affrescata agli inizi Seicento, seguendo lo stile Barocco. Inizialmente l’edificio era di esigue dimensioni e, secondo un antico manoscritto datato 1308, vi celebravano la Divina Liturgia numerosi sacerdoti di rito greco. Verso il 1420 la chiesa venne ampliata e si procedette ad impreziosirla con i due attuali portali in stile gotico-siculo. Durante tutto il Medioevo ed oltre, il non credente che si convertiva al Cristianesimo, secondo una documentata tradizione, doveva salire ginocchioni, in atto di penitenza, i suoi sette gradini, per poi ricevere il sacramento del battesimo.

Castello Pentefur

Castello Pentefur

Sulla cima della collina domina il castello di Pentefur (vedi). È ridotto ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti delle mura merlate, nei resti della torre trapezoidale, che fu a due elevazioni su un’area di 350 m², ed in alcune cisterne. Il Castello sorge sull’omonimo colle, edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. Risale, con molta probabilità, all’epoca tardo-romana o bizantina, secondo la tradizione venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur. Venne riedificato dagli arabi e ampliato dai Normanni che ne fecero la residenza estiva dell’Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. L’Archimandrita messinese trascorreva, assieme alla sua corte, buona parte dell’anno all’interno del Castello Pentefur. Dal 1355 è proclamato Castello Regio ed è al centro di un susseguirsi di turbolenti eventi che si protrarrà per circa trent’anni, viene infatti tolto all’Archimandrita dal Re Federico IV di Sicilia che lo attribuisce a Guglielmo Rosso Conte d’Aidone. È lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre ai Giurati ed ai Sindaci savocesi ed all’Archimandrita di Savoca Teodoro di giurare fedeltà al nuovo Capitano del Castello. Nel 1356 vi si rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d’Aidone, fratello di Guglielmo, scampato miracolosamente all’eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano, fino al 1385, quando è nominato Castellano di Savoca Tommaso Crisafi da Messina. Nel 1386 il Castello ritorna definitivamente in possesso degli Archimandriti con Paolo IV di Notarleone. Tra il 1421 ed il 1450, risulta essere residenza stabile dell’Archimandrita Luca IV de Bufalis, il quale preferisce risiedere stabilmente a Savoca anziché a Messina. Nel 1480, venne restaurato ed ingrandito dall’Archimandrita Leonzio II Crisafi e, nel 1631, venne sontuosamente abbellito a spese dell’Archimandrita Diego de Requiensez.
Dal castello partivano gli ordini e le direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a Savoca, poi, pian piano perse d’importanza. Alla fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del Terremoto del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte Archimandritale che preferiva risiedere a Messina o a Roma. Dal 1780, circa, venne abbandonato ed andò in rovina per sempre.

Sinagoga

Sinagoga

Accanto alla chiesa di San Michele, ma questa volta alla base della collina ritroviamo i resti dell’antica Sinagoga medioevale. Il vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da sterpaglie e terriccio alluvionale, all’interno esiste una profonda cisterna. Sono visibili due archi in pietra sul prospetto principale, mentre su quello laterale, si scorge una pregevole finestra in pietra arenaria, ancora in discrete condizioni; caratteristici sono i conci di pietra angolare che collegano detto prospetto con la parete ovest. Non si conosce l’anno di costruzione di questo edificio, si sa solo, grazie ad antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione “nel centro e nel migliore luogo” dell’antico abitato, che esisteva già nel 1408. Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei borghi e villaggi vicini. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all’edificio dove si curavano l’amministrazione e la giustizia cittadine, nell’agosto 1470, venne confiscato su ordine del Viceré di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi. Lo stesso viceré dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. La ragione di tale severo provvedimento è da ricercare nel fatto che i giudei savocesi, nell’officiare i loro riti, cantavano inni a voce talmente alta da disturbare le attività dei cristiani che da lì a pochi passi si svolgevano. Di conseguenza, la sinagoga venne rivenduta ad un privato cittadino del luogo, tal Filippo Sturiali, che la trasformò in civile abitazione. Non è dato sapersi ove gli ebrei savocesi stabilirono il loro nuovo luogo di culto. Pochi anni dopo, nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia. La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è diventata un rudere a cielo aperto lasciato in uno stato di incuria. Il vetusto manufatto è stato, nel corso degli anni, oggetto di studi da parte di numerosi esperti; nel 1997, si accertò l’orientamento dell’edificio in direzione est-ovest (cioè verso Gerusalemme) e la presenza di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che serviva per le abluzioni rituali. Nel 2014, tra le rovine della sinagoga, è stata scoperta una lapide con sopra scolpita la stella di David. Risulta interessante ricordare che a Savoca esisteva anche un cimitero ebraico, sito in località Moselle, nei pressi della frazione di Rina.

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Chiesa San Nicolò

Risalendo ritroviamo la chiesa di San Nicolò (già nominata a proposito del film il Padrino). Edificata nel XIII secolo, fino a tutto il XVII secolo era riccamente adornata con affreschi in stile bizantino. L’edificio odierno presenta un’architettura settecentesca frutto di un rimaneggiamento successivo. Conserva una statua lignea di Santa Lucia eseguita dallo scultore Reginaldo D’Agostino.

 

Chiesa Maria Assunta

Chiesa Maria Assunta

L’ultima (ma non per importanza e bellezza) chiesa che visitiamo è la chiesa Maria Assunta. E’ la Chiesa Matrice di Savoca ed è un monumento nazionale italiano dal 1910. Edificata nel 1130, presenta una facciata a doppio spiovente con un portale centrale, di impostazione rinascimentale, spinto verso l’alto da paraste laterali che guidano lo sguardo verso il rosone in pietra lavica a cinque bracci. Nella cripta della chiesa nei secoli passati si procedeva alla mummificazione delle salme dei notabili del paese. Fu sede periferica dell’archimandrita di Messina di cui all’interno si conserva la cattedra lignea.

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Casa medioevale con finestra a bifora.

Accanto alla matrice ritroviamo un’antica  costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento con una bella finestra bifora che viene citata in molti antichi testi per il suo “stile greco”. L’edificio venne restaurato verso la fine del Seicento. Ha uno stile gotico-spagnolo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un ulteriore sapore ispanico-fiammingo. Il portale d’ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi. Appartenne nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei Trischitta. Tra il 1909 ed il 1927, ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano. L’edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.


Visualizza Savoca in una mappa di dimensioni maggiori

Info tratte da Wikipedia.

Siti Etnanatura:

Savoca.

Maria Assunta.

Castello di Pentefur.

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Santa Caterina Alessandrina

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18-07-2014 20-47-28Oltre ad essere il monumento più importante di Pedara, per il suo particolare contenuto artistico è una delle chiese più visitate e studiate della provincia. L’intero complesso architettonico è considerato uno splendido esempio di “chiesa nera” dell’Etna dove il sapiente e coraggioso utilizzo della pietra lavica e degli intonaci trova qui una delle sue massime espressioni.La prima costruzione fu completata nel 1547 ed era in stile romanico. Oltre un secolo dopo, la struttura si dimostrò insufficiente a contenere i fedeli tanto che nel 1682 la fabbrica fu demolita per una più spaziosa ed attrezzata, ma l’11 gennaio 1693 il terremoto piegò anche Pedara e della chiesa appena ricostruita rimase ben poco. La grandiosa opera di ricostruzione richiese oltre 10 anni di lavoro e fu compiuta dal sacerdote pedarese don Diego Pappalardo solo nel 1705. All’interno si possono ammirare gli affreschi di Giovanni Lo Coco, una tela di Mattia Preti che raffigura Il Martirio di S. Caterina, il monumento funebre allo stesso don Diego, numerose tele, i marmi policromi dell’altare maggiore, alcune sculture del Settecento, i preziosi ricami e gli arredi sacri. Il portale interno del 1547 è il monumento più antico di Pedara. Costruito in pietra lavica e bianca, l’arco è in stile romanico e sostiene una porta di tavole di castagno dalla quale emergono 122 grossi chiodi che, secondo la tradizione, rappresentano il numero delle famiglie che contribuirono alla sua realizzazione. All’esterno, invece, spiccano la torre campanaria con elementi di epoche diverse e cuspide in maioliche policrome, le sculture in pietra dei portali e delle finestre ed un ormai raro esemplare di meridiana.
Da Wikipedia
Foto di Concetto Mazzaglia

Pagina Etnanatura: Santa Caterina Alessandrina.

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Santa Maria del Gesù

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15-07-2014 18-25-27Santa Maria di Gesù è una chiesa di Catania la cui prima edificazione risale al XV secolo. Il sito ove sorge la chiesa attuale, nel Trecento era sede di una piccola cappella attiguo alla quale sorse, in seguito, anche un piccolo convento di frati francescani; la cappelletta era posta al margine di un’area nota fino a qualche secolo fa come Selva del convento di S. Maria di Gesù, compresa tra l’attuale Giardino Bellini, la via Plebiscito e il viale Regina Margherita nei cui pressi si trova una tomba di forma circolare chiamata Mausoleo Modica. Tale area dal V secolo a.C. al tardo impero romano e quindi anche in epoca cristiana, ebbe un utilizzo a scopo funerario: ciò spiegherebbe sia la presenza della cappella che successivamente del convento. La chiesa vera e propria di Santa Maria di Gesù sorse nel secolo successivo, il Quattrocento, e fu gradatamente nel tempo decorata con opere d’arte, nel 1498 con una Madonna con Bambino di uno dei Gagini, un trittico di Antonello da Saliba, nel 1519 con gli addobbi della cappella della famiglia Paternò-Castello, nel 1525 con la pala d’altare di Angelo de Chierico, nel 1628 con un crocifisso ligneo di frate Umile da Petralia ed altre. Dopo la distruzione avvenuta a seguito del terremoto del 1693, la chiesa venne riedificata agli inizi del XVIII secolo con l’attuale caratteristica facciata da fra’ Girolamo Palazzotto e decorata in seguito con stucchi che, tuttavia, nel restauro del chiostro attiguo apportarono la copertura di opere d’arte più antiche. Nel 1949 la chiesa è stata elevata a parrocchia. La facciata è austera, di gusto romanico, con la decorazione laterale, tipica di molte chiese dell’area etnea, ad alternanza di pietre squadrate di basalto nero e pietra bianca. La chiesa, a navata singola, ai due lati presenta delle cappelle edificate da alcune famiglie della nobiltà catanese. Alla cappella Paternò Castello si accede attraverso un bel portale scultoreo opera di Antonello Gagini e della sua bottega. Lo stile omogeneo e raffinato della cappella riflette i canoni delle scuole del XVI secolo nel cui periodo venne realizzata. Notevole è anche la cappella della famiglia Tornabene. La chiesa ospita opere di Angelo de Chierico, Giuseppe Zacco, Antonello Gagini. 
Da Wikipedia

Pagina Etnanatura: Santa Maria del Gesù.

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Sant’Agata al carcere

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Sito Etnanatura: Sant’Agata al Carcere.

La chiesa di Sant’Agata al Carcere è costruita su ciò che resta del bastione del Santo Carcere, appartenente alle mura di Carlo V del XVI secolo, che difendeva la porta nord (chiamata porta del Re) della città di Catania. Secondo la tradizione in questo luogo venne tenuta prigioniera sant’Agata prima di subire il martirio. La chiesa presenta elementi relativi a secoli diversi. La parte prospettuale risale al XVIII secolo in quanto venne distrutta dal terremoto del 1693. La facciata, su un originale disegno di Giovan Battista Vaccarini, è pertanto in stile barocco siciliano mentre l’antico portale strombato è in stile romanico, e fu recuperato dalla cattedrale. Il portale, unico esemplare in Sicilia dello stile Romanico Pugliese, venne realizzato in marmo bianco con arco a tutto sesto ed è retto da sei colonnine decorate in tre modi diversi (rispettivamente dall’esterno verso l’interno a scacchiera, a spina di pesce e a losanghe), il cui motivo si ripete lungo le strombature dell’arco stesso, e da due pilastrini che fungono da stipiti su cui sono figure e simbologie bibliche, animali reali o immaginari, intrecciati tra loro da una modanatura a motivo floreale.

 

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Cuba di Santo Stefano

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20120712 025Coperta di edera e di altra vegetazione spontanea, la cuba di Santo Stefano in Santa Venerina conserva una buona parte della sua struttura muraria. La sua scoperta, nei tempi moderni, appartiene a Stefano Bottari, che pubblicava un testo con la descrizione del rudere nella Rivista di Archeologia Cristiana nel 1944-45. L’ingresso, lascia vedere di quanto sia interrato l’edificio. I muri delle absidi danno un’idea dell’ampiezza del naos. Nel nartece possiamo individuare la volta a botte che copriva i braci laterali. Nonostante il rovinoso stato, la finestra dell’abside est ci suggerisce che la sua forma era una bifora o forse una trifora. Un albero nel nartece, un pezzo di muro in una cornice troppo romantica – sono le espressioni dello stato in cui si trova il monumento. Comunque per avere un’immagine concludente è opportuno procedere alla presentazione della pianta che è stato possibile rilevare in quanto i muri perimetrali a varie altezze sono tutti presenti. L’edificio e composto da due parti: una parte trilobata ed uno spazio rettangolare di dimensioni impressionanti. La parte trilobata costituisce la cella trichora. Una trichora ben conservata è la cuba di Malvagna nella vale dell’Alcantara. Si notano bene le abside e la cupola. La chiesa di Dagala si distingue dalle altre trichore per le sue armoniose proporzioni, con ampie absidi laterali, leggermente più piccole dell’abside centrale. Del tutto particolare è e il nartece molto ampio, diviso in tre parti marcati da volte a botte. Nell’estremità sinistra del nartece c’è una cisterna con parete doppio, è una modifica ulteriore che portò alla chiusura di uno degli ingressi del prospetto. Il lato opposto poteva essere chiuso per necessità funzionali. Durante i lavori di rimozione delle macerie e del pietrame, effettuate da Lojacono, non fu trovato alcun pavimento primitivo, invece fu trovato nella zona centrale del nartece un pozzetto formato da pietre laviche che doveva servire da fonte battesimale. La muratura è fatta con la pietra lavica e calce con l’integrazione di conci di cotto. E’ un tipo di muratura caratteristico per le costruzioni della valle d’Alcantara coeve. Nei muri del nartece erano inserite piccole anforette in posizione verticale e orizontale (con la bocca verso l’esterno). Non è del tutto chiaro la loro funzione. Comunque, la presenza del cotto nella muratura contribuisce a mantenere asciutto le pareti affrescate. La copertura della chiesa comprendeva la cupola sopra il naos e tre volte a botte per il nartece, che segnavano la divisione di questo spazio in tre elementi. Le due volte laterali sono indicate dalla conclusione dei muri in altezza in forma di arco ed una piccola parte della volta rimasta. La volta a botte centrale è più una conclusione logica che un indizio esatto degli elementi strutturali rimasti. L’architetto Lojacono nel studiare il rudere ricostruì l’aspetto originale con due sezioni: una longitudinale che mostra la disposizione degli spazi lungo l’asse della chiesa e altra del nartece che illustra l’articolazione di questo elemento particolare per la chiesa di Dagala. L’aspetto esteriore visto da nord-est da un punto più alto dà un’idea dell’insieme. Non c’è dubbio sull’epoca alla quale ascrivere l’edificio. Si tratta del periodo prearabo, tra la seconda metà del VII secolo e inizio del IX, più probabile verso la fine dell’intervallo indicato. Quanto riguarda il nartece, sono state avanzate ipotesi che sia una aggiunta posteriore del periodo normanno. E possibile, ma poteva benissimo essere contemporaneo con la parte centrale della chiesa, in quanto un nartece, pronao, è un accessorio utile e indispensabile delle chiese bizantine. Le dimensioni sproporzionate del nartece sembrano rispondere a una propensione per sottolineare l’importanza, ma osserviamo che rispondeva a concrete esigenze pratiche. Si nota chiaramente che il nartece e un corpo giustapposto alle pareti delle abside; delle fessure chiare si vedono sulla linea di giunzione tra il nartece e le abside. Il tipo di muratura, pietra lavica di dimensioni diversi legati con la calce e l’aggiunta di cocci di cotto, è la stessa. Il nartece, probabilmente costituisce una aggiunta nei tempi coevi alla costruzione della trichora stessa. Il monastero era con certezza uno basiliano alla data della sua fondazione, dato il periodo di costruzione e la sua forma architettonica. Sembra che era attivo nell’inizio del XII secolo, un secolo di grande fiorire del monachesimo basiliano. Possibilmente venne affrescato come successe a Nunziatella, ma dei colori si è persa qualsiasi traccia per causa della caduta del intonaco. Il rapido declino dei monasteri basiliani dalla fine del XII secolo, favorì il passaggio della chiesa al monastero benedettino che venne ricordato nella “Cronaca” di Nicolò Speciale nell’occasione dell’eruzione dell’Etna del 1284, quando,molto probabile fu abbandonato, forse per sempre.

Da vasilemutu.com

Pagina Etnanatura:  Cuba di Santo Stefano.

 

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Castello Calatabiano

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Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

Il castello fu costruito dagli arabi e successivamente rimaneggiato dai normanni. Per la sua grande importanza militare svevi e aragonesi vi apportarono migliorie difensive. Alla famiglia dei Cruyllas si deve l’ampliamento che portò la fortezza alle dimensioni attuali. Di maggior interesse sono il portale di ingresso, costituito da un arco a sesto acuto di pietra arenaria e pietra lavica, e il “Salone dei Cruyllas”, diviso simmetricamente da un arco in pietra lavica il cui concio reca le insegne della famiglia. Nella parte più elevata del maschio si trova un’uscita di emergenza sul pendio più ripido e difficilmente accessibile del monte. Solo qualche rudere rimane invece del borgo abbandonato nel 1693. Sul monte Castello,trenta metri più in basso del maniero, la Chiesa del Santissimo Crocifisso, inaugurata il quattro marzo 1484, ha forme tardo gotiche, un massiccio campanile merlato e due portali ogivali d’ingresso, a ovest e a sud. Sulla facciata vi è un’iscrizione recante la data d’apertura al culto dell’edificio da parte del vescovo Eufemio. Vi è custodito il simulacro di San Filippo Siriaco. Nella celletta alla base del campanile, cui si accede direttamente dall’aula tramite una porta ad arco leggermente bicentrico a conci regolari radiali in pietra bianca, di tipo catalano, è situato nella parete ovest un affresco di Madonna e Bambino che reggono una grossa catena che ha alla fine un giogo a due anelli. L’affresco, di buona fattura inscrivibile non oltre i primi quindici anni del Cinquecento,da considerarsi unico nella regione di filiazione antonellesca, dai Peloritani agli Iblei, che rischia danni definitivi per l’umidità di risalita e per la sottovalutazione dell’importanza, ha un modello stante di tipo desalibesco, col Bambino in piedi (postura riscontrabile nei piccoli monumenti funerari di Antonello Freri) sulla gamba destra della Madre, ed è sensibile alla moda ‘rilassata’ di un Befulco o di uno Scacco, a loro volta mediatori al sud della naturalezza raffaellesca, con voluti grafismi neobizantini (mani e occhi) e una caratteristica unica: la Madonna guarda con bonaria introspezione, “alla greca”, verso l’osservatore.Un forte e distribuito uso del color marrone farebbe pensare a un tentativo di sinopia poi ridipinto. Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

 

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