Monte Castellaccio

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Sito Etnanatura: Monte Castellaccio,

Ci piace presentarvi monte Castelaccio come un luogo da fiaba dove anticamente (non sappiamo quando e se) esistevano ricche miniere di oro alle quali attingevano i greci prima e poi i romani, i saraceni e tutti quelli che hanno fatto della Sicilia terra di conquista (e dico ciò con un’accezione non sempre negativa considerando che peggio dei siciliani nessuno ha mai amministrato le nostre terre).

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Capo sant’Alessio

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Sito Etnanatura: Capo sant’Alessio.

Il castello di Sant’Alessio Siculo sorge sul promontorio roccioso noto come “capo Sant’Alessio”, all’interno del comune di Sant’Alessio Siculo, in provincia di Messina. Il “capo” è l’unico promontorio a sorgere lungo la fascia costiera ionica tra Messina e Taormina. Per questa ragione ha rivestito, e riveste tuttora, un ruolo importante dal punto di vista strategico; tutti gli eserciti storicamente presenti in Sicilia hanno contribuito, in fasi successive, all’edificazione del castello sulla sua sommità. Il castello si compone di due torrioni, uno a pianta rettangolare e uno a pianta circolare, e di un muro di cinta.

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San Lorenzo e la superluna

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imagesSe avevate dei sogni da realizzare e stavate aspettando lo sciame meteorico della notte di san Lorenzo, abbiate pazienza per questa volta vi sarà difficile individuare una stella cadente e questo non perché le lucciole astrali, residui di polvere e ghiaccio lasciati dalla cometa Swift-Tuttle, non solcheranno questa notte i nostri cieli,  ma per la presenza di una magnifica luna piena, anzi di una Superluna. La luna questa notte si troverà al perigeo e sarà molto più luminosa del solito oscurando quasi tutti gli altri astri. Questo fenomeno, raro ma non unico, si è già presentato il mese scorso e lo ritroveremo l’8 settembre ma poi dovremo aspettare più di due anni (14 Novembre 2016) per rivedere la nostra luna gravida di luce.

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Grotta Corruccio

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20100402 047La grotta Corruccio contenuta in parte nella bocca effusiva dell’apparato eruttivo di Monte Corruccio, ed in parte nella colata lavica. Un imponente crollo della volta, dove è stata costruita una scala in pietra, separa la grotta in due parti. Il tratto più a monte, in sensibile pendenza, presenta una volta ogivale a sesto molto acuto ed un pavimento di lava a superficie unita. Nel tratto a valle la cavità presenta sezione trapezoidale con pavimento di sabbia vulcanica e pietrame nella porzione iniziale e di lava a superficie unita a grosse corde nella porzione terminale. Nel tratto terminale la galleria si articola su due livelli.

Da Mungibeddu.it

Sito Etnanatura: Grotta Corruccio.

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4000 amici

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20100402 081Senza retorica e trionfalismi festeggiamo i 4.000 iscritti al gruppo Facebook di Etnanatura. Questo traguardo consolida anche numericamente il gradimento dei servizi forniti da Etnanatura che si possono riassumere in 5.000/6.000 visitatori non esclusivi al giorno e in quasi 2.500.000 visitatori da quando abbiamo cominciato a contarci. Ma per gli amanti dei numeri e delle statistiche rimandiamo all’apposita pagina di Etnanatura (https://www.etnanatura.it/statistiche.php). Sappiamo comunque che si tratta di un successo “nostro” quindi condiviso e i grazie vanno agli amici del gruppo, ai visitatori del sito, agli amministratori e a chi, pur non essendo amministratore, contribuisce con apporti qualificanti alla nostra crescita. Ancora grazie a tutti. 
PS. Ricordo che Etnanatura non pubblica annunci pubblicitari, non propone escursioni a pagamento, né ha alcuna forma di introito, agli amici che lo volessero fare chiediamo un contributo volontario anche minimo ad Emergency che può essere dato direttamente dal sito istituzionalehttp://www.emergency.it/privati/index.html?gclid=CKfEoKGMhMACFXDKtAodDTQAgg.

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Un sentiero per l’eruzione

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06-08-2014 00-36-36Un sentiero per ammirare in tutta sicurezza la colata in corso e per conoscere un ambiente unico per fascino e bellezza? Seracozzo e Serra delle Concazza. Partendo dal rifugio Citelli il sentiero è segnato e si può percorre circolarmente. Raggiunto un vecchio “pagghiaro” dei pastori continuate verso sud seguendo i segnali rossi fino a raggiungere la grotta di Serracozzo con i suoi sorprendenti giochi di luce che potete visitare se dotati di un’attrezzatura adeguata (minimo casco e torcia). Quindi proseguite salendo lungo il costone della Valle del Bove fino a toccare l’affaccio di Serra delle Concazze, una terrazza unica sulla valle del Bove e un luogo privilegiato per ammirare l’eruzione in corso. Come al solito sulla pagina di Etnanatura https://www.etnanatura.it/sentieri/sentieri.php?nome=Serra_delle_Concazze trovate tutte le informazioni necessarie.

Pagina Etnanatura: Serra delle Concazze.

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Casalvecchio

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26-07-2014 10-03-54Abbarbicato a metà costa sul monte Sant’Elia a 370 metri s.l.m. seguendo l’orografia del terreno il paese ha caratteristiche prettamente medioevali con un susseguirsi ed incrociarsi di viuzze che si dipanano spesso in sottopassi tipici dell’architettura medievale spagnola ed araba, anche se delle vecchie dimore poco o nulla rimane fagogitate da un’edilizia accattona. Casalvecchio è molto antico: già esisteva in epoca bizantina essendo citato in una scrittura aragonese del 1351 con la sua denominazione greca Palachorion cioè vecchio casale e successivamente con la traduzione latina di Rus Vetus. Nel periodo della dominazione araba della Sicilia prese il nome di Calathabieth. Nel 1862, dopo l’Unità d’Italia, prese il nome definitivo di Casalvecchio Siculo. In epoca saracena godeva di una propria autonomia che perse nel 1139 con la fondazione in epoca normanna di Savoca. Artefice ne fu il re Ruggero II di Sicilia, che facendo costruire un castello in quel luogo, assoggettò tutti i casali circostanti (i Sarracinorum Pagi) e li riunì sotto la nuova denominazione di Baronia di Savoca. Fino al 1492, a Casalvecchio, era presente un’importante e laboriosa comunità ebraica: se le origini della presenza ebraica nel territorio casalvetino non sono ben chiare, esistono tuttavia preziosi documenti, risalenti al 1409 ed al 1470, dai quali si evince che tra Savoca e Casalvecchio dimoravano circa 250/300 ebrei.

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Fontana dell’acqua Ruggia

Iniziamo la nostra passeggiata per le strette vie del paese dalla zona in alto dove ritroviamo la fontana dell’acqua Ruggia, così chiamata perché la leggenda narra che vi si fermò a bere il conte Ruggero. L’acqua sgorga da due mascheroni scolpiti in pietra locale. Vi sono annessi un caratteristico lavatoio coperto e un antico abbeveratoio per animali.

 

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Chiesa dell’Annunziata

Scendendo per la via Santissima Annunziata incontriamo l’omonima chiesa dell’Annunziata. Originaria del Cinquecento ma di stile barocco, è ricca di pregiati stucchi seicenteschi. Vi si può ammirare una tela dl secolo XVII ed una scultura lignea della Madonna con angelo annunziante eseguita a Napoli nel 1742 da Francesco Di Nardo scultore napoletano attivo fra il 1710 e il 1758 e autore di alcuni dei primi presepi napoletani.

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Sant’Onofrio

Via sant’Onofrio taglia in due il paese e presenta la chiesa madre di Sant’Onofrio il cui culto (come si evince dalla lettura di un suo diploma rilasciato nel 1117) risale ai tempi di Ruggero II. La chiesa attuale risale al secolo XVII e fu ubicata trasversalmente rispetto alla precedente. La facciata è in stile barocco in pietra locale; il pavimento originale barocco è formato da marmi di vario colore e provenienza; di notevole pregio è il soffitto in legno a cassettoni. All’interno si conservano tele antiche, in particolare quella di Gaspare Camarda del 1622, e vari altari in marmo del Seicento e del Settecento. Vi si trova una statua lignea del Cinquecento raffigurante Sant’Onofrio a mezzo busto. Una seconda statua di Sant’Onofrio è conservata nel vicino museo parrocchiale: essa è tutta in argento, ad altezza d’uomo. Fu realizzata nel 1745 dall’orafo messinese Giuseppe Aricò a spese e per volere del popolo casalvetino come ringraziamento per essere stato risparmiato dall’epidemia di peste che nel 1743 si era propagata nella provincia messinese provocando circa 40.000 vittime.

Piazza Vecchia

Piazza Vecchia

Scendiamo per le strette vie per ritrovare il cuore medioevale del paese: piazza Vecchia dove si svolgevano tutte le attività artigiane e commerciali del tempo con la presenza delle varie botteghe di falegnameria, alimentari, osterie, depositi per il baco da seta, ecc. In seguito la piazzetta è stata vandalizzata con la distruzione degli archi (conservati fino agli anni settanta). Attualmente si può ammirare un portale di notevole fattura in pietra arenaria.

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Chiesa di san Teodoro

 

Riprendiamo il cammino per ritrovare la chiesa di san Teodoro martire. Stefano Bottari la fa risalire al Cinquecento e vi si conservano tele del pittore ed umanista secentista casalvetino Antonino Cannavò. Molto interessanti i ruderi dall’annesso convento degli Agostiniani Scalzi.

 

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Fontana Vecchia

 

In basso, ai confini del paese, incontriamo la Fontana Vecchia  con l’acqua che sgorga dalla bocca di un mascherone scolpito in pietra locale. Il plesso include un abbeveratoio per animali e un lavatoio antico.

 

 

20-07-2013 11-15-47Ma dobbiamo uscire dal paese e scendere nel canalone del torrente Agrò per ritrovare un gioiello unico per fascino, bellezza e storia: la chiesa dei santi Pietro e Paolo (vedi), forse una delle più belle chiese della Sicilia orientale. La chiesa originaria risaliva presumibilmente all’incirca al 560 Fu in seguito completamente distrutta dagli arabi e quindi ricostruita nel 1117. Tale data è certa in quanto è stata dedotta da un “Atto di Donazione” di Ruggero II, datato 1116 scritto in lingua greca , conservato nel Codice Vaticano 8201, e tradotto in latino da Costantino Lascaris nel 1478. Da tale Atto di donazione si deduce che il conte Ruggero II in viaggio da Messina a Palermo fa una sosta in scala S. Alexii e cioè al castello di Sant’Alessio Siculo. In tale circostanza viene avvicinato dal monaco basiliano Gerasimo, il quale chiede al sovrano la facoltà e le risorse per riedificare (erigendi et readificandi) il monastero sito in fluvio Agrilea. La richiesta venne prontamente accolta e il monaco Gerasimo di San Pietro e Paolo si adoperò immediatamente a far erigere il tempio. Dal diploma di donazione si evince inoltre che il monastero fu dotato di alcuni redditi fissi: estesi campi di querce, di pascoli, alberi da frutto. Gli fu addirittura concessa la completa proprietà di un intero villaggio il Vicum Agrillae (l’attuale Forza d’Agrò) con assoluto potere da parte dei monaci su ogni oggetto o abitante di tale villaggio. In particolare era obbligo agli abitanti di detto villaggio di portare “due galline al monastero nelle feste di Natale e di Pasqua nonché la decima sulle capre e sui porci”. Si disponeva che il monastero fosse fornito ogni anno di otto barili di tonnina della tonnara di Oliveri e che ogni merce diretta al monastero fosse libera da ogni gravame di tasse. Era inoltre concesso all’Abate del Monastero il diritto del foro e cioè quello “di giudicare e di condannare, e la potestà sopra di quelli che, colti in delitti, potevano essere legati e flagellati e rimanere con i ceppi ai piedi, riservando la pena per l’omicidio alla Curia Regale”. Per tali pene l’Abbazia pagava la locazione del carcere sito in Casalvecchio ( “carcerem in Casali Veteri”) Con tali poteri si equiparava quindi la figura dell’Abate del Monastero dei Ss Pietro e Paolo a quello di un barone normanno del tempo. La chiesa molto probabilmente subì dei gravi danni nel 1169 a causa del fortissimo terremoto che quell’anno squassò tutta la Sicilia orientale. Fu quindi ristrutturata e rinnovata nel 1172 dall’architetto (capomastro) Gherardo il Franco come si può dedurre dall’iscrizione in greco antico posta sull’architrave della porta d’ingresso: “Fu rinnovato questo tempio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina, a sue spese. Possa Iddio ricordarlo. Nell’anno 6680. Il capomastro Gherardo il Franco”. L’anno 6680 corrisponde nella cronologia greco- bizantina appunto al 1172 in quanto gli anni si computavano dall’origine del mondo che, per i greco-bizantini, risaliva a 5508 anni prima della venuta di Cristo. Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del circostante Monastero di cui rimangono solo pochi resti e qualche edificio recentemente oggetto di un lavoro di restauro Oltre ai due Abati su citati Gerasimo e Teostericto, si conoscono i nomi di altri 26 Abati che si sono succeduti nel corso dei secoli, fra i quali l’Abate Fra Simone Blundo, palermitano e il successore un certo Abate Fra Bessarione, greco, nel 1449 che ha diritto di voto nel parlamento siciliano e che fu nominato Cardinale da Nicolò V. L’ultimo Abate Nicolò Judice, fu nominato Cardinale da Benedetto XIII l’11 giugno 1725). Il Monastero della vallata di Agrò fu un centro notevole di vita spirituale, sociale ed economica. Prospetto della chiesa dei SS. Pietro e Paolo L’ampio territorio che controllava era molto ricco di varie colture e allevamenti ed era dotato di vari mulini per la produzione di farine e derivati. Abbondava la produzione di vino e olio. Di tali ricchezze prodotte dal Monastero ne beneficiava anche il paese di Casalvecchio Siculo (“Casale Vetus”) che viveva gravitando intorno alle attività del monastero stesso. Nel corso dei vari secoli il Monastero dei SS Pietro e Paolo d’Agrò e la chiesa di S. Onofrio di Casalvecchio svolsero il ministero pastorale in unità d’intenti con la “Gran Corte Archimandritale di Messina” la quale concedeva all’Abate del “venerabile Monastero dell’Abatia dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, su richiesta della Matrice dell’Università di Casalvecchio sotto il titolo di S. Onofrio, di poter condurre processionalmente la Reliquia di detto S. Onofrio…in una delle due processioni….” ( Liber actorum, 1705, Archivio della “Gran Corte Archimandritale di Messina”). Dai registri del 1328 si apprende della presenza di sette monaci e di dieci nel 1336. Dopo secoli di permanenza nel monastero i frati furono costretti a richiedere il trasferimento ad altra sede. Infatti in quel luogo l’aria era diventata insalubre e quasi irrespirabile a causa dell’acqua imputridita del Agrò proveniente dalle coltivazioni di lino che lungo in fiume era massicciamente ed intensamente coltivato. La richiesta di trasferimento fu accolta dall’Archimandrita di Messina e dal re Ferdinando IV e la sede Abbaziale del Monastero dei SS Pietro e Paolo fu trasferita a Messina nel 1794. In seguito la chiesa venne praticamente abbandonata e per molti anni servì addirittura da deposito per attrezzature contadine. Tale stato di totale abbandono ed incuria durò fino agli anni ‘60 del secolo scorso, visitata solamente da studiosi dell’architettura medievale sia italiani che stranieri. Solo negli anni ‘60 fu ripulita , fu oggetto di varie campagne di restauro conservativo, riaperta al culto, e alle visite turistiche. È stata oggetto di vari studi da parte di vari critici e storici dell’arte fra i quali Stefano Bottari, Pietro Lojacono, E.H Freshfield, Antonio Salinas, Ernesto Basile, Enrico Calandra. Descrizione architettonica Ha l’aspetto di una chiesa fortificata con il classico orientamento della parte absidale ad est. Il suo aspetto ed il coronamento di merli indicano senza dubbio la funzione di fortezza che ha dovuto sostenere nei vari secoli. Ha caratteristiche molto simili a quelle che si possono riscontrare nelle grandi cattedrali coeve di Cefalù e Monreale. Architettonicamente si può certamente definire come una sintesi dello stile bizantino, arabo e normanno. un sincretismo culturale che ha prodotto un’opera architettonica che a detta di alcuni studiosi potrebbe rappresentare il primo esempio di protogotico, più propriamente un esempio lampante di elementi architettonici diversi uniti in un’unica struttura, che al suo interno contengono e assemblano gli elementi principali e quindi lo stile artistico-costruttivo del normanno e dell’arabo. Tali elementi fusi assieme creano le linee guida del protogotico. Stile bizantino la decorazione delle facciate con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate struttura a mattoni con ornati a spina-pesce e a zig-zag e anche nella decorazione della facciata con strette lesene terminanti con archeggiature incrociate; la particolare policromia delle membrature architettoniche; la sagoma dei pulvini insistenti su capitelli a paniere; la croce di tipo bizantino incisa nella lunetta sulla porta d’ingresso. Stile Arabo le caratteristiche archeggiature sovrapposte che sorreggono la cupola minore del presbiterio; tale cupola si sviluppa con un tamburo ottagonale con otto finestre; la forma terminale curva delle merlature ed il sesto rialzato degli archi; la forma delle cupole e il terminale chiaramente di stile arabo delle stesse; Stile Normanno la planimetria a tre navate con l’ingresso fiancheggiato da due torri molto simile alle grandi cattedrali normanne di Cefalù e Monreale; il portico posto fra le due torri dell’ingresso. Indubbiamente l’aspetto che colpisce di più ad una prima osservazione è la spettacolare policromia delle facciate resa possibile dal sapiente alternarsi di mattoni in cotto, pietre laviche (di provenienza etnea), pietra serena locale. Lo stesso Prof. Stefano Bottari così la descrive: “La bizzarra policromia, ottenuta per mezzo del mattone, delle lava e della pietra bianca, adoperati per la costruzione ed intrecciati armoniosamente, acquista allo snello edificio una fisionomia veramente suggestiva e pittoresca….”. L’interno è caratterizzato da una assoluta austerità. Non è presente alcuna decorazione o affresco e i muri sono completamente spogli : si può ammirare solamente il gioco dei mattoni e delle pietre di costruzione. Non sappiamo se in origine fossero presenti decorazioni o altro però è difficile pensare che nel corso dei secoli non fossero stati presenti degli affreschi.


Visualizza Casalvecchio in una mappa di dimensioni maggiori
Info tratte da Wikipedia.

Siti Etnanatura:

Casalvecchio.

Chiesa dei santi Pietro e Paolo.

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Pineta di Graniti

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31-07-2014 19-40-13Nel 1880 un’imponente frana si stacco dal monte Pietra del Corvo per finire sulla periferia del paesino di Graniti. Fu allora che si decise di imboschire il monte con una pineta di pino domestico (Pinus pinea), pino marittimo (Pinus pinaster) e Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) formando la pineta di Graniti completata nel 1890. La pineta ha un’estensione di 34 ettari e dal 1950 è stata acquisita dal comune di Graniti formando un parco urbano.

Foto di Minodora Dinca.

Sito Etnanatura: Pineta di Graniti.

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Savoca

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Bar Vitelli

Bar Vitelli

La nostra visita di Savoca, antico e affascinante paesino ai confini fra le province di Messina e Catania, comincia da un film che ha fatto la storia della cinematografia “Il padrino” di Francis Ford Coppola considerato dalla rivista Empire il più bello di tutti i tempi. Nella finzione cinematografica Michael Corleone chiede la mano di Apollonia nel bar Vitelli, per poi sposarla nella chiesa di Santa Lucia.

Salendo sulla collina sopra il bar si raggiunge la cripta dei Cappuccini. Realizzata agli inizi del Seicento nei sotterranei della chiesa omonima, racchiude 37 cadaveri mummificati appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati, medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, tutti appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese. Sembra che i frati cappuccini abbiano appreso  le tecniche di imbalsamazione

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

Cripta dei cappuccini. Foto Wikipedia.

in Sud America, le quali, attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più antica risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore, la più recente è del 1876 ed appartiene a Giuseppe Trischitta. Il procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell’essiccazione naturale; consisteva, prima nell’immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, dopo aver proceduto allo scolo dei visceri, nel distenderla nella cripta della Chiesa Madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d’aria, avveniva la naturale essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva effettuato direttamente dai frati Cappuccini ed era abbastanza costoso. La cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX secolo, l’interesse di molti illustri scrittori, come Ercole Patti, Leonardo Sciascia e Mario Praz. I corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d’epoca e danno mostra di sé nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.

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Porta del quartiere san Michele

Ritornando verso il bar Vitelli e risalendo per la collina opposta a quella dei cappuccini, si ritrova l’antica porta del quartiere San Michele.  Si presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d’accesso alla porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva. Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel Medioevo, venivano aperte all’alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è stato restaurato nel 2009.

Antico carcere

Antico carcere

Superata la porta si ritrovano i resti dell’antico carcere. L’antico carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in un’ala dell’antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su cui troneggiava lo stemma dell’Archimandrita, rimosso e custodito al museo locale. È ancora visibile all’interno una cisterna che serviva per l’approvvigionamento idrico di buona parte dell’abitato. Dal 1855, quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in disuso. Crollò parzialmente nel 1908 e non fu più ricostruito.

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San Michele

La chiesa di San Michele, costruita attorno al 1250, per volere degli Archimandriti, era la chiesa del Castello di Pentefur, ampliata nei primi decenni del XV secolo, venne ristrutturata ed affrescata agli inizi Seicento, seguendo lo stile Barocco. Inizialmente l’edificio era di esigue dimensioni e, secondo un antico manoscritto datato 1308, vi celebravano la Divina Liturgia numerosi sacerdoti di rito greco. Verso il 1420 la chiesa venne ampliata e si procedette ad impreziosirla con i due attuali portali in stile gotico-siculo. Durante tutto il Medioevo ed oltre, il non credente che si convertiva al Cristianesimo, secondo una documentata tradizione, doveva salire ginocchioni, in atto di penitenza, i suoi sette gradini, per poi ricevere il sacramento del battesimo.

Castello Pentefur

Castello Pentefur

Sulla cima della collina domina il castello di Pentefur (vedi). È ridotto ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti delle mura merlate, nei resti della torre trapezoidale, che fu a due elevazioni su un’area di 350 m², ed in alcune cisterne. Il Castello sorge sull’omonimo colle, edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. Risale, con molta probabilità, all’epoca tardo-romana o bizantina, secondo la tradizione venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur. Venne riedificato dagli arabi e ampliato dai Normanni che ne fecero la residenza estiva dell’Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. L’Archimandrita messinese trascorreva, assieme alla sua corte, buona parte dell’anno all’interno del Castello Pentefur. Dal 1355 è proclamato Castello Regio ed è al centro di un susseguirsi di turbolenti eventi che si protrarrà per circa trent’anni, viene infatti tolto all’Archimandrita dal Re Federico IV di Sicilia che lo attribuisce a Guglielmo Rosso Conte d’Aidone. È lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre ai Giurati ed ai Sindaci savocesi ed all’Archimandrita di Savoca Teodoro di giurare fedeltà al nuovo Capitano del Castello. Nel 1356 vi si rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d’Aidone, fratello di Guglielmo, scampato miracolosamente all’eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano, fino al 1385, quando è nominato Castellano di Savoca Tommaso Crisafi da Messina. Nel 1386 il Castello ritorna definitivamente in possesso degli Archimandriti con Paolo IV di Notarleone. Tra il 1421 ed il 1450, risulta essere residenza stabile dell’Archimandrita Luca IV de Bufalis, il quale preferisce risiedere stabilmente a Savoca anziché a Messina. Nel 1480, venne restaurato ed ingrandito dall’Archimandrita Leonzio II Crisafi e, nel 1631, venne sontuosamente abbellito a spese dell’Archimandrita Diego de Requiensez.
Dal castello partivano gli ordini e le direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a Savoca, poi, pian piano perse d’importanza. Alla fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del Terremoto del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte Archimandritale che preferiva risiedere a Messina o a Roma. Dal 1780, circa, venne abbandonato ed andò in rovina per sempre.

Sinagoga

Sinagoga

Accanto alla chiesa di San Michele, ma questa volta alla base della collina ritroviamo i resti dell’antica Sinagoga medioevale. Il vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da sterpaglie e terriccio alluvionale, all’interno esiste una profonda cisterna. Sono visibili due archi in pietra sul prospetto principale, mentre su quello laterale, si scorge una pregevole finestra in pietra arenaria, ancora in discrete condizioni; caratteristici sono i conci di pietra angolare che collegano detto prospetto con la parete ovest. Non si conosce l’anno di costruzione di questo edificio, si sa solo, grazie ad antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione “nel centro e nel migliore luogo” dell’antico abitato, che esisteva già nel 1408. Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei borghi e villaggi vicini. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all’edificio dove si curavano l’amministrazione e la giustizia cittadine, nell’agosto 1470, venne confiscato su ordine del Viceré di Sicilia Lope III Ximénez de Urrea y de Bardaixi. Lo stesso viceré dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. La ragione di tale severo provvedimento è da ricercare nel fatto che i giudei savocesi, nell’officiare i loro riti, cantavano inni a voce talmente alta da disturbare le attività dei cristiani che da lì a pochi passi si svolgevano. Di conseguenza, la sinagoga venne rivenduta ad un privato cittadino del luogo, tal Filippo Sturiali, che la trasformò in civile abitazione. Non è dato sapersi ove gli ebrei savocesi stabilirono il loro nuovo luogo di culto. Pochi anni dopo, nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia. La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è diventata un rudere a cielo aperto lasciato in uno stato di incuria. Il vetusto manufatto è stato, nel corso degli anni, oggetto di studi da parte di numerosi esperti; nel 1997, si accertò l’orientamento dell’edificio in direzione est-ovest (cioè verso Gerusalemme) e la presenza di una grande cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che serviva per le abluzioni rituali. Nel 2014, tra le rovine della sinagoga, è stata scoperta una lapide con sopra scolpita la stella di David. Risulta interessante ricordare che a Savoca esisteva anche un cimitero ebraico, sito in località Moselle, nei pressi della frazione di Rina.

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Chiesa San Nicolò

Risalendo ritroviamo la chiesa di San Nicolò (già nominata a proposito del film il Padrino). Edificata nel XIII secolo, fino a tutto il XVII secolo era riccamente adornata con affreschi in stile bizantino. L’edificio odierno presenta un’architettura settecentesca frutto di un rimaneggiamento successivo. Conserva una statua lignea di Santa Lucia eseguita dallo scultore Reginaldo D’Agostino.

 

Chiesa Maria Assunta

Chiesa Maria Assunta

L’ultima (ma non per importanza e bellezza) chiesa che visitiamo è la chiesa Maria Assunta. E’ la Chiesa Matrice di Savoca ed è un monumento nazionale italiano dal 1910. Edificata nel 1130, presenta una facciata a doppio spiovente con un portale centrale, di impostazione rinascimentale, spinto verso l’alto da paraste laterali che guidano lo sguardo verso il rosone in pietra lavica a cinque bracci. Nella cripta della chiesa nei secoli passati si procedeva alla mummificazione delle salme dei notabili del paese. Fu sede periferica dell’archimandrita di Messina di cui all’interno si conserva la cattedra lignea.

Bifora_26-07-2014 08-51-15

Casa medioevale con finestra a bifora.

Accanto alla matrice ritroviamo un’antica  costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento con una bella finestra bifora che viene citata in molti antichi testi per il suo “stile greco”. L’edificio venne restaurato verso la fine del Seicento. Ha uno stile gotico-spagnolo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un ulteriore sapore ispanico-fiammingo. Il portale d’ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi. Appartenne nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei Trischitta. Tra il 1909 ed il 1927, ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano. L’edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.


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Info tratte da Wikipedia.

Siti Etnanatura:

Savoca.

Maria Assunta.

Castello di Pentefur.

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Santa Caterina Alessandrina

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18-07-2014 20-47-28Oltre ad essere il monumento più importante di Pedara, per il suo particolare contenuto artistico è una delle chiese più visitate e studiate della provincia. L’intero complesso architettonico è considerato uno splendido esempio di “chiesa nera” dell’Etna dove il sapiente e coraggioso utilizzo della pietra lavica e degli intonaci trova qui una delle sue massime espressioni.La prima costruzione fu completata nel 1547 ed era in stile romanico. Oltre un secolo dopo, la struttura si dimostrò insufficiente a contenere i fedeli tanto che nel 1682 la fabbrica fu demolita per una più spaziosa ed attrezzata, ma l’11 gennaio 1693 il terremoto piegò anche Pedara e della chiesa appena ricostruita rimase ben poco. La grandiosa opera di ricostruzione richiese oltre 10 anni di lavoro e fu compiuta dal sacerdote pedarese don Diego Pappalardo solo nel 1705. All’interno si possono ammirare gli affreschi di Giovanni Lo Coco, una tela di Mattia Preti che raffigura Il Martirio di S. Caterina, il monumento funebre allo stesso don Diego, numerose tele, i marmi policromi dell’altare maggiore, alcune sculture del Settecento, i preziosi ricami e gli arredi sacri. Il portale interno del 1547 è il monumento più antico di Pedara. Costruito in pietra lavica e bianca, l’arco è in stile romanico e sostiene una porta di tavole di castagno dalla quale emergono 122 grossi chiodi che, secondo la tradizione, rappresentano il numero delle famiglie che contribuirono alla sua realizzazione. All’esterno, invece, spiccano la torre campanaria con elementi di epoche diverse e cuspide in maioliche policrome, le sculture in pietra dei portali e delle finestre ed un ormai raro esemplare di meridiana.
Da Wikipedia
Foto di Concetto Mazzaglia

Pagina Etnanatura: Santa Caterina Alessandrina.

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