Giardino Bellini

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19-02-2014 08-02-05Il nucleo più antico del giardino risale al Settecento ed apparteneva al principe Ignazio Paternò Castello di Biscari, che lo aveva voluto secondo le tipologie di allora con labirinti di siepi, statue e fontane a zampillo di foggia tale da creare giochi d’acqua. In seguito alla morte del principe il giardino decadde progressivamente. Dopo un periodo di trattative, il 29 settembre 1854 il Labirinto venne acquistato dal comune di Catania da Anna Moncada Paternò Castello, discendente dagli eredi del principe. La trasformazione del giardino tuttavia incontrò numerose difficoltà non ultime quelle economiche dato che per renderlo atto all’uso pubblico si dovevano risolvere problemi di acquisto di orti privati adiacenti. Nel 1858 il governo autorizzò il finanziamento dei lavori ma sorsero rivalità tra gli esperti incaricati bloccandone l’esecuzione finché, nel mese di aprile 1863 fu dato incarico di dirigerne l’esecuzione all’architetto Ignazio Landolina (1822-1879). Venne iniziata quindi la trasformazione del giardino privato in giardino pubblico i cui lavori si protrassero fino al 1875. Nel 1875 il comune di Catania acquistò dai Padri domenicani i terreni adiacenti a sud-ovest dell’antico Labirinto, nel 1877 la parte a nord che apparteneva al principe Paternò di Manganelli e l’orto di San Salvatore dai padri Cappuccini. Il 4 ottobre 1877, sotto la nuova direzione dell’ingegnere Filadelfo Fichera (Catania, 1850-1909), iniziarono i lavori di unificazione dei nuovi fondi acquisiti. Questi si curò di rendere più funzionale ed agevole la fruizione dell’area attraverso la risoluzione dei delicati aspetti tecnici dovuti alla morfologia del terreno, mettendo rispettosamente in comunicazione il giardino-labirinto voluto dal Biscari, con i terreni di San Salvatore. Il Fichera – tra i maggiori esperti in materia di ingegneria sanitaria dell’epoca – riuscì ad ovviare alle dette difficoltà attraverso un elegante ed erudito impiego di scalinate, ponticelli e viali, conferendo al Giardino Bellini l’impostazione attuale. Il “viale degli Uomini illustri” ad ovest venne inaugurato nel 1880 con i busti posti su colonne dei personaggi più famosi della storia italiana e catanese, ma già nel 1875 all’inizio del viale era stata posta la statua in bronzo di Giuseppe Mazzini. La villa venne inaugurata il 6 gennaio 1883. Il giardino divenne abituale meta delle famiglie catanesi che vi portavano i bambini a giocare mentre passeggiavano conversando con gli amici. L’ingresso monumentale di via Etnea venne realizzato ed aperto nel 1932 e l’anno dopo, alla sommità dello scalone, nel piazzale soprastante il tunnel di via Sant’Euplio vennero collocate le statue monumentali che rappresentano le arti, opera dello scultore Domenico Maria Lazzaro. Alla fine degli anni cinquanta venne riordinata la zona del tunnel di via Sant’Euplio e quelle adiacenti. In quegli anni venne curato ampiamente l’aspetto floreale ed esperti giardinieri creavano veri e propri disegni ed iscrizioni nelle aiuole delle collinette gemelle. Poco tempo dopo venne incrementato il numero di voliere e di volatili esotici, quindi acquisiti ed allevati anche volatili acquatici come anatre e cigni, il cui habitat era stato attrezzato nelle grandi vasche e fontane di cui il giardino era dotato. Verso il 1960 il giardino divenne anche un piccolo zoo con volatili stanziali in libertà ed animali, come varie specie di scimmie, ed infine anche elefanti.  Una caratteristica, oggi perduta, erano le numerose grotte in pietra lavica al cui interno erano ricavate delle fontane con giochi d’acqua, spesso con pesci rossi nella vasca. La flora è molto varia e presenta delle specie di provenienza subtropicale che si sono acclimatate molto bene. Esistono oltre cento specie diverse nelle quali si distinguono le palme presenti in un numero di varietà fuori dal comune. Molto presenti anche gli alberi di alto fusto come i platani ed enormi ficus magnolia dell’età di centinaia di anni oltre a numerose altre varietà di pini e di alberi sempreverdi.

Da Wikipedia

Sito Etnanatura: Giardino Bellini.

 

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Cuba di Santo Stefano

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20120712 025Coperta di edera e di altra vegetazione spontanea, la cuba di Santo Stefano in Santa Venerina conserva una buona parte della sua struttura muraria. La sua scoperta, nei tempi moderni, appartiene a Stefano Bottari, che pubblicava un testo con la descrizione del rudere nella Rivista di Archeologia Cristiana nel 1944-45. L’ingresso, lascia vedere di quanto sia interrato l’edificio. I muri delle absidi danno un’idea dell’ampiezza del naos. Nel nartece possiamo individuare la volta a botte che copriva i braci laterali. Nonostante il rovinoso stato, la finestra dell’abside est ci suggerisce che la sua forma era una bifora o forse una trifora. Un albero nel nartece, un pezzo di muro in una cornice troppo romantica – sono le espressioni dello stato in cui si trova il monumento. Comunque per avere un’immagine concludente è opportuno procedere alla presentazione della pianta che è stato possibile rilevare in quanto i muri perimetrali a varie altezze sono tutti presenti. L’edificio e composto da due parti: una parte trilobata ed uno spazio rettangolare di dimensioni impressionanti. La parte trilobata costituisce la cella trichora. Una trichora ben conservata è la cuba di Malvagna nella vale dell’Alcantara. Si notano bene le abside e la cupola. La chiesa di Dagala si distingue dalle altre trichore per le sue armoniose proporzioni, con ampie absidi laterali, leggermente più piccole dell’abside centrale. Del tutto particolare è e il nartece molto ampio, diviso in tre parti marcati da volte a botte. Nell’estremità sinistra del nartece c’è una cisterna con parete doppio, è una modifica ulteriore che portò alla chiusura di uno degli ingressi del prospetto. Il lato opposto poteva essere chiuso per necessità funzionali. Durante i lavori di rimozione delle macerie e del pietrame, effettuate da Lojacono, non fu trovato alcun pavimento primitivo, invece fu trovato nella zona centrale del nartece un pozzetto formato da pietre laviche che doveva servire da fonte battesimale. La muratura è fatta con la pietra lavica e calce con l’integrazione di conci di cotto. E’ un tipo di muratura caratteristico per le costruzioni della valle d’Alcantara coeve. Nei muri del nartece erano inserite piccole anforette in posizione verticale e orizontale (con la bocca verso l’esterno). Non è del tutto chiaro la loro funzione. Comunque, la presenza del cotto nella muratura contribuisce a mantenere asciutto le pareti affrescate. La copertura della chiesa comprendeva la cupola sopra il naos e tre volte a botte per il nartece, che segnavano la divisione di questo spazio in tre elementi. Le due volte laterali sono indicate dalla conclusione dei muri in altezza in forma di arco ed una piccola parte della volta rimasta. La volta a botte centrale è più una conclusione logica che un indizio esatto degli elementi strutturali rimasti. L’architetto Lojacono nel studiare il rudere ricostruì l’aspetto originale con due sezioni: una longitudinale che mostra la disposizione degli spazi lungo l’asse della chiesa e altra del nartece che illustra l’articolazione di questo elemento particolare per la chiesa di Dagala. L’aspetto esteriore visto da nord-est da un punto più alto dà un’idea dell’insieme. Non c’è dubbio sull’epoca alla quale ascrivere l’edificio. Si tratta del periodo prearabo, tra la seconda metà del VII secolo e inizio del IX, più probabile verso la fine dell’intervallo indicato. Quanto riguarda il nartece, sono state avanzate ipotesi che sia una aggiunta posteriore del periodo normanno. E possibile, ma poteva benissimo essere contemporaneo con la parte centrale della chiesa, in quanto un nartece, pronao, è un accessorio utile e indispensabile delle chiese bizantine. Le dimensioni sproporzionate del nartece sembrano rispondere a una propensione per sottolineare l’importanza, ma osserviamo che rispondeva a concrete esigenze pratiche. Si nota chiaramente che il nartece e un corpo giustapposto alle pareti delle abside; delle fessure chiare si vedono sulla linea di giunzione tra il nartece e le abside. Il tipo di muratura, pietra lavica di dimensioni diversi legati con la calce e l’aggiunta di cocci di cotto, è la stessa. Il nartece, probabilmente costituisce una aggiunta nei tempi coevi alla costruzione della trichora stessa. Il monastero era con certezza uno basiliano alla data della sua fondazione, dato il periodo di costruzione e la sua forma architettonica. Sembra che era attivo nell’inizio del XII secolo, un secolo di grande fiorire del monachesimo basiliano. Possibilmente venne affrescato come successe a Nunziatella, ma dei colori si è persa qualsiasi traccia per causa della caduta del intonaco. Il rapido declino dei monasteri basiliani dalla fine del XII secolo, favorì il passaggio della chiesa al monastero benedettino che venne ricordato nella “Cronaca” di Nicolò Speciale nell’occasione dell’eruzione dell’Etna del 1284, quando,molto probabile fu abbandonato, forse per sempre.

Da vasilemutu.com

Pagina Etnanatura:  Cuba di Santo Stefano.

 

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Grotta delle Femmine

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27052012 093Nel 2000 a.C. nella Sicilia orientale si insediò un popolo preistorico noto per fattura di alcune ceramiche dalle linee brune su uno sfondo rosso mattone. Paolo Orsi diede a questa cultura il nome di Castelluccio dalla località in cui furono rinvenuti i primi resti. Alla cultura del castelluccio si devono ascrivere anche asce di basalto e di pietra verde e poi di bronzo e l’usanza di seppellire i morti in piccole grotte. Trovare frammenti ceramici riconducibile a una fattura castellucciana nelle zone sommitali dell’Etna come nella grotta delle Femmine aggiunge fascino e leggenda. La grotta è una galleria di scorrimento generata da colate preistoriche e presenta diversi strati di lava incurvati. I raggi solari che penetrano dall’apertura esterna si insinuano nelle gallerie della grotta creando lamine di luce che esaltano i dettagli nel buio circostante.

Sito Etnanatura: Grotta delle Femmine.

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Grotta Cassone

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20100321 021Si tratta di una galleria di scorrimento di notevoli dimensioni sia in lunghezza che in altezza, che si sviluppa in direzione nordovest e sudest. Lungo il tratto a nordovest dell’ingresso la volta e le pareti presentano vari fenomeni di rifusione e si notano le variazioni di portata del flusso lavico. Si notato anche alcuni rotoli incompleti. Il pavimento è costituito da lava scoriacea che in alcuni punti diventa a piccole corde, tale morfologia lo rende leggermente sconnesso. La grotta, in direzione sudest, presenta invece una fisionomia legata ai crolli, dovuti alla costruzione della strada provinciale, ed una difficile percorribilità. All’interno abita una sparuta colonia di pipistrelli.

Da mungibeddu.it

Pagina Etnanatura: Grotta Cassone.

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Grotta dei roditori

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27-01-2013 10-49-15Il sottosuolo di Catania, grazie al sovrapporsi nei millenni di diverse colate laviche, presenta un tesoro di grotte e anfratti che si segnalano per un fascino misterioso.  Queste grotte hanno costituito un sicuro rifugio, dalla preistoria alla seconda guerra mondiale, per gli abitanti del luogo e spesso conservano tesori archeologici non ancora del tutto svelati. Così la grotta dei roditori, nascosta fra le sterpaglie che circondano un moderno campo da tennis, è stata la “truvatura” di frammenti ceramici di età tardo-romana e bizantina  nonché di diversi scheletri di roditori di probabile grossa mole che hanno dato il battesimo all’anfratto. Si tratta di una tipica galleria di scorrimento lavico, dovuta ad un’eruzione preistorica, nella quale si accede attraverso un foro della volta. La cavità è costituita da un primo vasto ambiente di forma ellittica. Alla base delle pareti, sono presenti piccoli rotoli di lava sovrapposti l’uno sull’altro. In direzione Est, si diparte un tunnel in ottimo stato di conservazione, che presenta, oltre alle consuete stalattiti da rifusione, un canale con i due rispettivi argini che dopo alcuni metri di sviluppo diventa una vera e propria cascata di lava solidificata.

Sito Etnanatura: Grotta dei roditori.

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Palazzo Biscari

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28-03-2014 16-50-02Venne realizzato per volere della famiglia Paternò Castello principi di Biscari a partire dalla fine del Seicento e per gran parte del secolo successivo, in seguito al catastrofico terremoto dell’11 gennaio 1693. Il nuovo palazzo venne edificato sulle mura di Catania, costruite per volere dell’imperatore Carlo V nel Cinquecento e che avevano in parte resistito alla furia del terremoto: i Biscari furono una delle poche famiglie aristocratiche della città che ottenne il permesso regio di costruire su di esse.  La parte più antica del palazzo fu costruita per volere di Ignazio, terzo principe di Biscari, che affidò il progetto all’architetto Alonzo Di Benedetto, ma fu il figlio di Ignazio, Vincenzo, succeduto al padre nel 1699, a commissionare la decorazione dei sette splendidi finestroni affacciati sulla marina, opera dello scultore messinese Antonino Amato. Successivamente il palazzo fu modificato per volere di Ignazio Paternò Castello, quinto principe di Biscari, il quale lo fece ampliare verso est su progetto di Girolamo Palazzotto e, successivamente, di Francesco Battaglia. L’edificio venne infine ultimato nel 1763 ed inaugurato con grandiosi festeggiamenti. Al palazzo si accede attraverso un grande portale su via Museo Biscari, che immette nel cortile centrale, adorno di una grande scala a tenaglia. All’interno, si trova il “salone delle feste”, di stile rococò dalla complessa decorazione fatta di specchi stucchi e affreschi dipinti da Matteo Desiderato e Sebastiano Lo Monaco. Il cupolino centrale era usato come alloggiamento dell’orchestra, ed è coperto da un affresco raffigurante la gloria della famiglia Paternò Castello di Biscari. Si accede alla cupola attraverso una scala decorata a stucco (che il principe Ignazio chiamò “a fiocco di nuvola”) all’interno della grande galleria affacciata sulla marina. Tra le altre sale vanno ricordate quella “dei Feudi”, con alle pareti grandi tele rappresentanti i numerosi feudi dei Biscari; gli “appartamenti della principessa”, costruiti da Ignazio V per la moglie, Anna Morso e Bonanno dei principi del PoggioReale, con boiseries di legni intarsiati e pavimenti di marmo di epoca romana; la “galleria degli Uccelli” e la “stanza di don Chisciotte”. Infine particolare importanza riveste il Museo, dove un tempo era raccolta la grande collezione archeologica (oggi in parte al Museo civico del castello Ursino) di Ignazio V, grande studioso, archeologo e amante delle arti in genere. Tra i celebri visitatori del palazzo si ricorda soprattutto lo scrittore Johann Wolfgang Goethe che, nel corso del suo viaggio in Italia, venne ricevuto dal principe di Biscari il 3 maggio 1787, poco dopo la morte del padre Ignazio. Agli inizi del 2008 il palazzo ha fatto da sfondo al videoclip della canzone Violet Hill della band inglese Coldplay.

Da Wikipedia

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Palazzo Biscari.

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I numeri di Etnanatura

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Crocus_longiflorus_30-09-2012 08-29-35Etnanatura raggiunge sempre nuovi traguardi grazie al contributo di tutti. Permettetemi di presentarvi alcuni numeri che ritengo significativi. Ad oggi nel sito sono descritti 340 sentieri e 796 mappe suddivise per 58 paesi del comprensorio etneo e 16 suddivisioni tipologiche; sono presenti 19.329 foto esclusive e sono catalogate 396 specie di flora. Le diverse pagine del sito sono consultate mediamente da quasi 4.000 utenti non esclusivi giornalieri, nel mese di giugno abbiamo avuto più di 118.000 accessi che portano il totale del 2014 a più di 670.000 visite. Da quando abbiamo cominciato a contare i visitatori abbiamo superato i 3.200.000 contatti.

Oltre al sito www.etnanatura.it abbiamo un gruppo, un diario e una pagina Facebook, siamo inoltre presenti su Twitter e su Google+.

Grazie alla collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica riportiamo tutti i dati sugli eventi sismici. Trovate inoltre le info sul meteo e le immagini di tutte le webcam.

Da oggi è possibile accedere con un nuovo dominio (www.etna.land) e abbiamo inoltre una sezione news sempre aggiornata (https://www.etnanatura.it/news/) e … tanto altro ancora che potete scoprire visitando la pagina web www.etnanatura.it.

Tutto ciò è stato possibile anche grazie ai contributi di tutti voi, degli amministratori della pagina Facebook (Giammarco Marino, Cea Niscemi Onlus, Rosangela Russo, Gaetano Papàstrello Fichera, Senzio Mazza, Concetto Mazzaglia, Vincenzo Cavallaro e Salvo Bella) e di tanti altri amici generosi di contributi, foto, consigli (fatemi ricordare Salvo Nicotra, Sebastiano D’aquino, Enzo Crimi, Michele Torrisi, Angelo Tècchese La Spina e tutti gli altri a cui chiedo perdono per la mancata citazione).

Ancora grazie e ad maiora.

p.s. Consentitemi in calce il racconto di una aneddoto. Etnanatura nasce grazie ad un ente che con l’Etna ha poco a che fare. Si tratta di Emergency di Gino Strada. Inizialmente sentivo la necessità morale di aiutare in qualche modo questa associazione laica che si spende con assoluta abnegazione per aiutare i poveri e i malati in quelle zone del mondo dove sono presenti terribili scenari di guerra. Ed ho pensato di creare una pagina web che potesse propagandare, anche indirettamente, le iniziative di Emergency. Ecco perché su Facebook trovate spesso i post di Emergency e sul sito è l’unica pubblicità presente. Se potete vi chiedo di aiutare questa associazione anche con un piccolo contributo.

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Pubblicato in News

Gole della Cantera

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10334293_378383395633603_2766342110504835766_nLe forre laviche iniziano con uno strapiombo e un selvaggio burrone, dai brontesi denominato “u bazu ‘a càntira” (il balzo della Càntera) ove, sotto i ponti Cantera e Serravalle, i fiumi Simeto e Troina si precipitano schiumanti sulla lava e sui blocchi di pietra arenaria. Uno dei due fiumi (il Troina) è scavalcato dall’antico ponte normanno (vedi). Scendendo lungo il fiume vi sono particolarmente interessanti formazioni laviche a poligoni, o basalto colonnare, dovute al repentino raffreddamento della colata a contatto con le acque del Simeto, gli ampi terrazzi lavici che testimoniano dell’ampliarsi dell’edificio vulcanico etneo sui territori prima occupati dagli affioramenti sedimentari Erei e la tipica vegetazione che assume connotati particolari con la presenza dell’Oleandro, dell’Euforbia arborea, capaci di sviluppare le loro ramificazioni sulle lave. Sul greto del fiume si possono vedere ciottoli di origine lavica, diversamente colorati, sia da sabbie, ghiaia e ciottoli di origine sedimentaria provenienti dai vicini Nebrodi. Non è raro imbattersi in ciottoli e gusci di ambra di colore molto chiaro che hanno da sempre attirato i cercatori e che ci narrano di un lontano passato geologico. Il largo alveo sassoso è spesso occupato da tipica vegetazione ripariale: canne del genere Fragmite ed oleandri che in primavera assumono una magnifica fioritura. Il paesaggio agrario è quello tipico di Bronte, con vecchie zone golenali trasformate in frutteti e giardini, con le “sciare” pietrosissime dove il contadino brontese ha impiantato vaste colture a Pistacchio, e, a tratti occupato da pascoli acclivi e degradatissimi che lasciano comparire tra la rada copertura erbacea, la caratteristica argillosa del suolo con vasti solchi stretti e profondi e con ripide creste che movimentano le alture. Intorno un paesaggio contrastato e una natura profondamente varia, coltivazioni arboree specializzate che vanno dai frutteti (pere, pesche, etc.) fino agli aridi pascoli argillosi inframmezzati ad aride scoscese sciare coltivate a pistacchio, a giardini di agrumi, alberi di olivo o di mandorlo, ortaggi, fichidindia, campi di frumento e di cereali. La componente faunistica specializzata che popola questo ecosistema comprende alcuni tipi di rettili (la Biscia dal collare, la Biscia viperina, il Colubro leopardino, forse il più bel rettile europeo lungo sino ad un metro), le lucertole (Ramarro, Lacerta viridis o la Podarcis sicula) che si nascondono tra la vegetazione arbustiva e tra i sassi e le rocce laviche, una bella specie di anfibio (il Discoglosso dipinto), la Rana esculenta,e alcune specie di rospi che si ritrovano nei dintorni del fiume (Bufo bufo spinosus e Bufo viridis). Rara e quasi del tutto assente la fauna ittica. L’avifauna comprende diverse specie stanziali ed altre presenti come migratorie: non è rara l’apparizione dell’Airone cenerino (Ardea cinerea), che sosta in migrazione nelle zone mag­giormente ricche di anfibi da predare; nella vegetazione ripariale si nasconde il più elusivo dei rallidi, il Porciglione, poco atto al volo e dal corpo tipicamente adattato alla vita nel canneto, alcune specie di rapaci diurni tra i quali domina per dimensioni la Poiana, il Gheppio, e, nelle zone interessate dai pascoli e dalla bassa vegetazione, ancora oggi si può osservare la bella Coturnice, un tempo nota saliente del paesaggio interno siciliano ed oggi vera e propria rarità faunistica. Non è difficile avvistare ed incontrare il Barbagianni, mentre nelle aree più alberate frequenti sono sia l’Assiolo, che la Civetta. Per i mammiferi, compaiono come erratici e maggiormente provenienti dalle aree circostanti la Volpe, l’Istrice, il Riccio, il Coniglio selvatico e la Lepre. 
Da http://www.bronteinsieme.it/5am/ingr.html 
Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Gole della Cantera.

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Grotta e vallone del Turco.

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20100627 126Incastonata in una delle valli più lussureggianti dell’Etna, il vallone del Turco, sopra Piano del Vescovo, si trova l’omonima grotta del Turco. Si tratta di una cavità formatasi grazie all’erosione secolare delle acque del torrente. Presenta un ampio ingresso in parte occluso da numerosi imponenti massi crollati dalla volta; l’interno si sviluppa con una sala lunga circa 14 metri ricoperta da sabbia.

Pagine Etnanatura: Grotta del Turco e Vallone del Turco.

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Salto del pecoraio

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30-05-2014 18-02-59A pochi metri dal Ponte del Saraceno (vedi), dove il fiume Simeto scava profonde e strette gole, si trova il Salto del pecoraio (Sautu du picuraru). Il luogo deve il suo fascino oltre che ad un’indubbia bellezza, alle leggende di cui è circonfuso. Secondo una versione, avallata da Paternò Castello (1907) in “Nicosia, Triona, Sperlinga, Adernò”, il nome nasce dal “salto” delle sponde del fiume di un pastorello per ritrovare l’amata (“… E’ questo il “salto del pecoraio” così nominato perché narra la tradizione che un pastore, per raggiungere più celermente la sua innamorata, soleva spiccare il salto…). Una versione più prosaica vede invece il pastorello costretto a scappare dalle forze dell’ordine che lo inseguivano per arrestarlo. Trovandosi il fiume davanti e i carabinieri dietro il pastore, armatosi di coraggio, spicca un salto sull’altra sponda riuscendo così a seminare i militi fermi sul greto del fiume. Giuseppe Recupero (1817) in “Storia Naturale e Generale dell’Etna” si mantiene sul vago preferendo descrivere la geografia del posto: “… Poco prima di arrivare al ponte di Carcaci, si restringe molto il letto del fiume e si chiama il passo del Pecoraro, perché dicono che con un salto un bifolco sia passato da una all’altra ripa. Non è qui forse largo una canna e si profonda in maniera che non si vedono le sue acque né si ode il suo rumoreggiare, come se qui il fiume si nascondesse …”.

Foto di Salvo Nicotra

Pagina Etnanatura: Salto del pecoraio.

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