Palazzo Corvaja

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09-05-2014 09-54-16In contrada Diana sorge un’elegante residenza del XVIII secolo “Palazzo Corvaja”. Questa contrada, attualmente appartenente al Comune di Fiumefreddo di Sicilia, un tempo faceva parte della baronia di Calatabiano. L’edificio presenta un pittoresco prospetto serrato fra torricini pensili, che chiude sul fondo una corte rettangolare entro magazzini, stalle e abitazione della servitù. Esso costituisce un esempio di villa-fattoria realizzata dai nobili del tempo per la villeggiatura e per il controllo dei latifondi e delle strutture produttive. Suggestivo è l’uso della pietra lavica per le mostre di porte, balconi e finestre, i corpi scalari merlati e la coloritura dei paramenti con forte tinte. Agli angoli del palazzotto, sorrette ognuna da tre mensole in pietra lavica, due garitte a pianta quadrata, coronata da cupole emisferiche ed ingentilite da un cornicione con decorazioni in stucco, serrano ai lati la facciata. Dietro di esse emergono due torrette più grandi, anche’esse a pianta quadrata e coronate da una merlatura ghibellina che ha un preciso valore simbolico oltre che funzionale. I due cortili e la recinzione del giardino dietro la casa, oltre a contribuire alla difesa, costituivano degli spazi esterni estremamente articolati e differenziati per lo svolgimento delle più svariate attività. In linea di massima la corte chiusa davanti alla residenza era riservata alle attività aziendali e familiari, mentre nel cortile esterno si svolgevano tutte le attività connesse al transito nella via pubblica. A lato del passaggio fra le due corti vi era lo “studio”: un locale dove la famiglia Diana probabilmente esplicava molti degli atti amministrativi relativi ai loro fondi ed ai feudi amministrati per conto dei Gravina-Cruyllas. Sul lato nord della corte esterna con la facciata rivolta alla strada è collocata la Chiesa di San Vincenzo, che assolveva funzioni sia di Chiesa per la popolazione locale, sia di cappella privata della famiglia. … Addossato al palazzotto, al pianterreno vi è il palmento, costruito nel 1694 dalla famiglia Bottari. Originariamente separata dalla residenza fortificata di Francesco Diana, la casa dei Bottari fu successivamente unita a questa: il corpo centrale fortificato venne così a perdere uno dei suoi attributi difensivi conferitogli dal totale isolamento da altre fabbriche. Dalla fine del ‘700 il complesso, abbandonato dai proprietari quale residenza, non subisce ampliamenti e modifiche sostanziali. Gli interventi più consistenti sono tutti della fine del secolo scorso e dei primi anni del ‘900, quando alcuni locali di servizio attorno alla corte vengono ristrutturati. Fortunatamente la residenza fortificata si mantiene ancora pressoché integra; non altrettanto può dirsi invece di altre parti del complesso. In tempi recentissimi sono state asportate le pietre angolari del parapetto e del collo del pozzo, ancora visibili di F. Fcihera dell’inizio del secolo. A sud del cortile esterno alcuni dei vecchi fabbricati sono stati sostituiti da una squallida palazzina “moderna”, mentre altri interventi hanno invece alterato una parte consistente dei fabbricati della corte interna che costituiscono un unico organismo architettonico con la residenza. 

Le residenze di campagna nel versante orientale dell’Etna, di Gaetano Palumbo). 
Foto di Angelo Tècchese La Spina.

Pagina Etnanatura: Palazzo Corvaja.

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Grotta dei Rotoli

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Pagina Etnanatura: Grotta dei Rotoli.

L’eruzione dell’Etna del 1865 ebbe inizio il 29 gennaio e si concluse nella metà di giugno dello stesso anno. In seguito ad essa nacquero i Monti Sartorius sul versante a nord-est. Più a valle si formò la Grotta dei rotoli che deve il nome a tunnel di lava accartociata. L’attività del vulcano ebbe inizio, con emissione di fumo dal monte Frumento delle Concazze, alle ore 14,30 del 28 gennaio 1865 seguita da rombi e scuotimenti e scosse sismiche. Il 29 gennaio alle ore 23 si manifestò un forte sisma che interessò tutta l’area orientale del vulcano provocando panico negli abitanti di tutti i comuni dell’area reiterandosi per alcune ore; poco dopo tre fontane di lava sgorgarono da fenditure apertesi tra 1800 e 1750 m. s.l.m. Il 30 gennaio ad est di monte Frumento si aprì una fenditura di circa 400 metri che emise ulteriori 8 fontane di lava. Con passare del tempo le fratture e i punti di emissione continuarono a spostarsi verso est con la formazione di otto coni tutti attivi tra il 4 il 5 febbraio. L’eruzione sembrò rallentare ma riprese vigore tra il 19 e il 25 marzo. Le colate furono almeno tre di cui la più bassa, verso nord-est si fermò il 9 febbraio mentre una successiva si arrestò il 12 dello stesso mese. Una nuova colata circondava Monte Chiovazzi alla fine di marzo raggiungendo la massima lunghezza il 4 aprile. Dopo varie emissioni successive l’attività cessò nella metà del mese di giugno. (Notizie prese da Wikipedia).

Pagina Etnanatura: Grotta dei Rotoli.

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Castello Calatabiano

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Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

Il castello fu costruito dagli arabi e successivamente rimaneggiato dai normanni. Per la sua grande importanza militare svevi e aragonesi vi apportarono migliorie difensive. Alla famiglia dei Cruyllas si deve l’ampliamento che portò la fortezza alle dimensioni attuali. Di maggior interesse sono il portale di ingresso, costituito da un arco a sesto acuto di pietra arenaria e pietra lavica, e il “Salone dei Cruyllas”, diviso simmetricamente da un arco in pietra lavica il cui concio reca le insegne della famiglia. Nella parte più elevata del maschio si trova un’uscita di emergenza sul pendio più ripido e difficilmente accessibile del monte. Solo qualche rudere rimane invece del borgo abbandonato nel 1693. Sul monte Castello,trenta metri più in basso del maniero, la Chiesa del Santissimo Crocifisso, inaugurata il quattro marzo 1484, ha forme tardo gotiche, un massiccio campanile merlato e due portali ogivali d’ingresso, a ovest e a sud. Sulla facciata vi è un’iscrizione recante la data d’apertura al culto dell’edificio da parte del vescovo Eufemio. Vi è custodito il simulacro di San Filippo Siriaco. Nella celletta alla base del campanile, cui si accede direttamente dall’aula tramite una porta ad arco leggermente bicentrico a conci regolari radiali in pietra bianca, di tipo catalano, è situato nella parete ovest un affresco di Madonna e Bambino che reggono una grossa catena che ha alla fine un giogo a due anelli. L’affresco, di buona fattura inscrivibile non oltre i primi quindici anni del Cinquecento,da considerarsi unico nella regione di filiazione antonellesca, dai Peloritani agli Iblei, che rischia danni definitivi per l’umidità di risalita e per la sottovalutazione dell’importanza, ha un modello stante di tipo desalibesco, col Bambino in piedi (postura riscontrabile nei piccoli monumenti funerari di Antonello Freri) sulla gamba destra della Madre, ed è sensibile alla moda ‘rilassata’ di un Befulco o di uno Scacco, a loro volta mediatori al sud della naturalezza raffaellesca, con voluti grafismi neobizantini (mani e occhi) e una caratteristica unica: la Madonna guarda con bonaria introspezione, “alla greca”, verso l’osservatore.Un forte e distribuito uso del color marrone farebbe pensare a un tentativo di sinopia poi ridipinto. Da Wikipedia.

Sito Etnanatura: Castello di Calatabiano.

 

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Mendolito

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11-06-2014 07-40-50Avete mai pensato a quante macchine del tempo abbiamo a disposizione? Basta guardare il cielo per ammirare la luce delle stelle che arriva a noi dopo aver percorso migliaia se non milioni di anni luce. Esse ci dicono come erano quando la terra non esisteva e mai potremo sapere come sono ora (assunto che esistano ancora). La stessa cosa avviene con i siti archeologici, soprattutto quando diverse stratificazioni temporali si sovrappongono e ci permettono una lettura “nel tempo”. Sotto questo aspetto il sito di Mendolito, poco o per nulla conosciuto, è uno dei più significativi. Nato nell’ XI secolo a.C. ad opera degli “indiani” siciliani che non avevano conosciuto ancora la colonizzazione di altri popoli, si è espanso nel tempo passando dalla cultura greca a quella normanna per conoscere (ahilui ed ahinoi) l’incuria e l’abbandono odierno: ma questa è una triste storia siciliana  condivisa con altri luoghi.

Foto di Salvo Nicotra.

Sito Etnanatura: Mendolito.

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Eruzione in corso

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0_0004Nella serata del 14 giugno 2014, è cominciato un nuovo episodio eruttivo al Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC), che è tuttora in corso. L’attività è caratterizzata da quasi continue esplosioni stromboliane e piccole fontane di lava pulsanti, l’emissione di cenere fine e diluita, e un trabocco lavico dall’orlo sud-orientale del cratere, che forma una colata di lava in discesa sulla parete occidentale della Valle del Bove. Il trabocco di lava è iniziato nel mattino del 15 giugno, percorrendo la fenditura apertasi sul fianco del cono del NSEC durante il parossismo del 28 novembre. L’attività esplosiva sta avvenendo da tre bocche all’interno del cratere. L’accumulo di materiale piroclastico di ricaduta intorno al cratere hanno portato alla crescita del cono soprattutto nel suo settore orientale, riempendo parzialmente le fenditure formatesi sull’alto fianco nord-orientale del cono durante gli episodi eruttivi di fine dicembre 2013 e gennaio-marzo 2014.

L’ampiezza del tremore vulcanico ha mostrato un forte incremento durante la notte del 14-15 giugno 2014, ed è successivamente rimasta stazionaria su un livello medio alto.

Da INGV – Catania.

Immagini eruzioni riprese dalla webcam.

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Chiesa della Misericordia

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03-05-2014 17-19-07La Chiesa di Maria SS. della Misericordia, risalente almeno al 1500, costituisce un rudere sacro di un’importanza straordinaria ed è stata meta di molti devoti che veneravano la Vergine dell’Aiuto o del Soccorso. La chiesa fu risparmiata dall’eruzione del 1536/37 e dalla colata lavica del 1669 che ne lambì appena il muro di tramontana. Oggi è in totale abbandono, il prospetto principale non è più esistente, rimangono solo i muri perimetrali del lato più lungo della navata e il muro di fondo con tracce di pitture che, a sfida del tempo e dell’uomo, sono ancora leggibili: l’affresco della pietà in cui vi è raffigurata la Vergine Santissima in atto supplichevole che chiede pietà al Padre Eterno per i poveri peccatori e l’affresco raffigurante la deposizione di Cristo dalla SS. Croce. Il bellissimo portale in pietra lavica fu tolto negli anni ’50 dal sacerdote Filippo Consoli per evitare che venisse rubato, e trasferito all’ingresso della “grotta del ritrovamento” del Santuario di Monpilieri (vedi). Sotto il pavimento fino a poco tempo fa era visibile l’accesso per la sepoltura e la tumulazione delle salme. Dipendevano dalla Chiesa della Misericordia altre due chiese, che si trovano a breve distanza da questa e, che facevano parte del patrimonio ecclesiastico delle otto chiese dell’Antico Mompilieri: la chiesa di San Marco e la chiesa della Madonna Bambina. La chiesa sacra all’Evangelista San Marco era a tre navate; fino al 1928 era possibile vederne le fondamenta, oggi non ne rimane alcun vestigio. La chiesa della Bambina è ancora esistente e funzionante.

Info e foto di Salvo Nicotra.

Sto Etnanatura: Chiesa della Misericordia.

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Santa Domenica

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24-05-2014 20-50-07Il culto per Santa Domenica ad Adrano esisteva già al tempo del Conte Ruggero e di sua nipote Adelicia, come riferisce il Prevosto D. Petronio Russo nell’opuscolo “cenno storico sul martirio e sul culto di Santa Domenica, vergine e martire” (Adernò 1911): In suo onore sulla riva destra del fiume Simeto, in contrada Sciarone un tempio era stato dedicato a Santa Domenica. Adelicia (che aveva ereditato dal padre il vasto territorio di Adernò e che aveva istituito il grande conservatorio delle Vergini povere in Adrano, cui aveva donato le contrade Pulichello e Sciarone) raccomandava ai fedeli cristiani, abitanti presso le due chiese di Santa Maria (che si trovava sulla sponda sinistra) e di Santa Domenica che seguitassero a vigilare perché non fossero profanate dai Saraceni. Dell’’antica Chiesa, forse di età bizantina, che si trovava nel casale di Carcaci vecchio, oggi all’interno della proprietà del Cavaliere Ferrante di Carcaci, rimangono alcuni ruderi dell’abside, quasi sommersi da sterpaglie. In essa nel 1517 sostarono i cavalieri lentinesi, provenienti dal Convento di Fragalà, che lasciarono delle reliquie dei Santi Alfio, Filadelfio e Cirino. Nel XVII sec. il culto fu trasferito sulla riva opposta del Simeto, nella vicina Chiesa dedicata a Santa Maria, che da allora prese il titolo assoluto di Santa Domenica. Come si può dedurre osservando i resti dell’affresco dell’abside che riproduce fedelmente il drappeggio in velluto, ancora esistente nella Chiesa di Santa Lucia in Adrano, la preesistente Chiesa di Santa Maria fu restaurata e dedicata al culto di Santa Domenica a cura delle suore del monastero di Santa Lucia. Al tempo del Prevosto Petronio Russo la chiesa era elegante e abbondava di distinti sacri arredi, vi si trovava l’artistica e bella statua lignea della Martire, opera del Bellini, nella mano destra in alto stringe la croce argentea, nella sinistra tiene una palma di argento, simbolo della sua verginità, sul capo la corona, simbolo del martirio.; di essa rimangono solo alcuni ruderi messi di recente in sicurezza dalla Soprintendenza. In seguito al decreto reale di Francesco I°, nel 1826, nei giorni di sabato, domenica e lunedì dell’ultima settima di Agosto si svolgevano nel terreno adiacente alla Chiesa campestre di Santa Domenica la festa e la fiera, dato che le campagne intorno erano fertili e intensamente abitate. Tale fiera, a sentire qualche testimonianza, si teneva fino a 60/50 anni fa. La devozione degli abitanti (borghesi, pastori, mulattieri ed agricoltori) era grande verso la Santa, perché aveva loro concesso delle grazie liberando i loro armenti dalla epizoozia o altre malattie. I festeggiamenti oggi si svolgono in una chiesetta, costruita all’incirca negli anni 20, all’insegna della più assoluta essenzialità, con i fedeli provenienti da Adrano, Cesarò, San Teodoro, Troina.

Franca Meli Da http://www.santalfioadrano.it/

Foto di Salvo Nicotra

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Abisso di monte Nero

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Pagina Etnanatura: Abisso di monte Nero.

Questa grotta è situata lungo la frattura eruttiva del 1923 sul fianco NE del Monte Etna nei pressi di Monte Nero. Descrizione. Questa non è una cavità di scorrimento, ma una frattura eruttiva dell’eruzione del 1923, divisa da un crollo in due parti ciascuna delle quali presenta un ingresso: Abisso di M. Nero e Profondo Lavico. E’ il più grande sistema eruttivo in frattura rimasto sull’Etna ed uno dei meglio conservati. E’ stato esplorato e rilevato per più di 1 Km ed è la più lunga cavità sull’Etna. La profondità media è di circa 50 m, e la larghezza media è di soli 2 m. All’interno sono stati trovati alcuni minerali secondari. Uno di questi è la Portlandite, un minerale molto raro, mai trovato prima in una grotta (Forti & Marino, 1990). L’ingresso principale è situato in un hornitos (cono di scorie) lungo il sistema di fratture del 1923. Dopo un salto di 30 m si trova un grosso blocco di lava ricoperto di scorie. Procedendo verso NE vi è un altro salto di 35 m e quindi il fondo della frattura. Da qui procedendo giù, verso NE, la fessura è lunga circa 250m, invece risalendo verso SO si sviluppa per circa 800 m. Lungo la fessura, il pavimento è costituito da due grossi rotoli di lava uniti insieme. Le pareti sono tra loro parallele ad una distanza di circa 2 m e sono coperte da uno strato di lava che, in alcuni punti, è spesso ed in altri sottile solo pochi centimetri. In alcuni tratti tali spessori di lava sono crollati ostruendo il passaggio così, per proseguire, occorre arrampicarsi su di essi e la progressione è pericolosa.

Da http://www.vulcanospeleology.org/sym09/ISV9Ia.pdf

Attenzione la discesa nella cavità deve essere fatta solo da speleologi particolarmente esperti.

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Dagala del Picchio

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23-05-2014 22-57-14Le dagale sono delle isole boschive circondate dalla lava pietrificata. Il contrasto fra il paesaggio lavico e il verde della dagala ne risalta i colori rendendo magico l’ambiente. In particolare questa dagala s’incastona a nord di monte Calanna, formatosi dal collasso dei cosiddetti Centri Eruttivi Alcalini Antichi e che, per questo, presenta caratteristiche uniche nell’ambiente etneo. 
Foto di Salvo Nicotra.

Pagina Etnanatura: Dagala del Picchio.

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Castello di Bolo

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31-05-2014 19-45-45Il Castello di Bolo giace sulla sommità di un’alta collina che domina le circostanti vallate tra Bronte e Troina. Della fortezza rimangono, con grande rammarico, solo pochi ruderi. Tuttavia è possibile ricostruirne parzialmente la pianta: essa è di forma stretta ed allungata ed occupa tutto lo spazio disponibile presso l’angusta sommità dell’altura. Due sostanziosi resti murari lagano l’edifico ad epoca medievale, sebbene sia difficile, nell’attuale stato degli studi, affermare che i ruderi risalagno ad epoca normanna. Le mura sono costruite con pietre malamente sbozzate, legate insieme da malta di discreta qualità. L’equilibrio statico della costruzione è completamente compromesso e frequenti sono i crolli, soprattutto lungo il fianco meridionale del colle, particolarmente scosceso e difficilmente accessibile. La tipologia della fortificazione ricorda, a grandi linee, quella di una fortezza a guardia dei passi, che da Randazzo conducevano e conducono a Troina e viceversa. Del casale, che intorno al castello gravitava, a tutt’oggi non rimane, purtroppo, alcuna traccia. Presso i pochi resti murari ancora esistenti si riconosce la presenza di una cisterna. Il primo accenno dell’esistenza del Casale di Bolo è del 1139, durante la dominazione normanna. Nel 1392 un diploma reale prescriveva che i suoi abitanti dovevano rivolgersi per le loro cause al Capitano Giustiziere di Randazzo. Successivamente, nel 1535, Bolo e Cattaino furono abbandonati dagli abitanti per riunirsi, assieme agli altri casali, e formare un unico popolo in Bronte come ordinato da Carlo V.

Da http://www.icastelli.it/castle-1234881761-castello_di_bolo-it.php

Foto di Salvo Nicotra

Sito Etnanatura: Castello di Bolo.

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