Descrizione |
Tra il 18 ed il 19 maggio 1886 sul fianco meridionale del vulcano, nella stessa direzione NNE-SSW, «lungo la medesima frattura del 1883 a circa 1400 m di quota si aprí una bocca eruttiva che produsse un vasto campo lavico fino alle prime case di Nicolosi che fu evacuato» (Stefano Branca e Jean-Claude Tanguy – Le eruzioni di epoca storica dell'Etna – ingvvulcani.com).
Nei 20 giorni dell'eruzione furono emessi circa 66 milioni di metri cubi di lava; le colate raggiunsero una lunghezza di quasi 6 chilometri e mezzo, e si spinsero fino ad una quota di 780 metri sul livello del mare. Il paese di Nicolosi fu seriamente minacciato, ed in questa occasione, ancora una volta, la popolazione fiduciosa fece ricorso all'intercessione dei Santi protettori: le reliquie della martire Sant'Agata furono portate in processione dal Cardinale Giuseppe Dusmet. Il paese fu risparmiato – secondo la fede popolare – anche per l'intervento di Sant'Antonio Abate, il cui simulacro fu condotto incontro alla lava. Nel luogo dove la colata si arrestó venne edificata una edicola dedicata al Santo, per ricordare l'evento.
Un altro braccio di lava si arrestó proprio a ridosso dei Tre Altarelli, edicola votiva precedentemente eretta in memoria dell'eruzione del 1766. Ad eruzione terminata un altarino fu eretto in onore di Sant'Antonio (oggi detto Sant'Antonino alla sciara); nel luogo dove furono portate le reliquie della Santa catanese fu successivamente edificata una cappella (l'altarino di Sant'Agata – Divae Agathae Servatrici – alla periferia nord di Nicolosi), accanto alla quale fu posta anche una statua raffigurante il Cardinale Dusmet ed una targa che recita: «Ricordando l'intervento del Cardinale Giuseppe Benedetto Dusmet in ausilio del popolo di Nicolosi durante l'eruzione del 1886 e la sua recente beatificazione l'Amministrazione Comunale, interpretando il desiderio della cittadinanza, eresse».
Nel corso dell'eruzione del 1886 circa 51 milioni di metri cubi di ceneri e scorie si accumularono lí dove avveniva la degassazione esplosiva, dando origine ad un cono avventizio il cui punto piú alto raggiunge i 1500 metri circa, rilievo che oggi si eleva di un centinaio di metri sui campi lavici che lo circondano. Il cono di scorie, formatosi nello stesso anno in cui Carlo Gemmellaro morí, fu intitolato allo scienziato, e nella toponomastica ufficiale porta quindi il nome di Monte Gemmellaro.
Testo di Santo Scalia su Il Vulcanico. |